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Pubblicate il 13 febbraio in Gazzetta Ufficiale, le rivalutazioni per l'anno 2018, della misura e dei requisiti economici dell'assegno per il nucleo familiare numeroso e dell'assegno di maternità.

Entrambe sono state rivalutate in base alla variazione medie 2017 degli indici ISTAT dell'1,1%.

L'assegno mensile per il nucleo familiare numeroso — ai sensi dell'art. 65 della legge 23 dicembre 1999, n. 449 e successive modifiche e integrazioni – da corrispondere agli aventi diritto per l'anno 2018, se spettante nella misura intera, è pari a 142,85 euro; per le domande relative al medesimo anno, il valore dell'indicatore della situazione economica equivalente è pari a 8.650,11 euro. Per avere diritto a questa prestazione il nucleo familiare deve essere composto almeno da un genitore e tre figli minori (appartenenti alla stessa famiglia anagrafica). Questi ultimi devono essere figli del richiedente o del coniuge o da essi ricevuti in affidamento preadottivo.

L'assegno mensile di maternità – ai sensi dell'art. 74 della legge 26 marzo 2001, n. 151 – da corrispondere agli aventi diritto per l'anno 2018, per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento, se spettante nella misura intera, è pari a 342,62 euro; per le domande relative al medesimo anno, il valore dell'indicatore della situazione economica equivalente è pari a 17.141,45 euro.

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Anche per il 2018 sono diverse le agevolazioni previste a sostegno della natalità e della genitorialità e alcune di esse sono concesse indipendentemente dal reddito.

La legge di Bilancio 2018 ha rinnovato anche per quest'anno il bonus bebè da 80 euro al mese (960 euro annui), ma solo per il primo anno di vita del bambino o per il primo anno di ingresso a seguito dell'adozione, anziché fino ai tre anni come precedentemente previsto. L'assegno è stato introdotto dalla legge di Stabilità per il 2015 e ne beneficiano le famiglie con un reddito ISEE sotto i 25.000 euro l'anno. L'importo è raddoppiato a 160 euro al mese (1.920 euro annui) quando il valore dell'ISEE non sia superiore a 7.000 euro annui.

Il congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente, da fruire entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, è stato prorogato dalla legge di Bilancio 2017 anche per il 2018, raddoppiando la sua durata da due a quattro giorni nell'anno in corso, da godere anche in via non continuativa. Questo congedo è aggiuntivo a quello della madre e spetta comunque indipendentemente dal diritto della stessa al proprio congedo. Sempre nel 2018 il padre potrà godere anche di un giorno di congedo facoltativo, condizionato però all'accordo con la madre, qualora questa scelga di non fruire di altrettanti giorni del proprio congedo obbligatorio. Per questi cinque giorni di congedo il padre ha diritto a un'indennità giornaliera, a carico dell'INPS, pari al 100% della retribuzione.

Un contributo di 600 euro mensili, destinati al pagamento di asili nido o baby sitting, viene concesso a tutte le lavoratrici madri (dipendenti e autonome) che, per ottenerlo rinunciano totalmente o parzialmente ai mesi di congedo parentale loro spettanti. La legge di Bilancio 2017 lo ha esteso anche al 2018.

Un buono asili nido, di 1.000 euro su base annua, corrisposto per undici mensilità, è attribuito dal 2017 per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2016, per il pagamento di rette di asili nido pubblici e privati, e anche per forme di supporto a casa per i bambini al di sotto dei tre anni, affetti da gravi patologie croniche. Questo bonus, introdotto dalla legge di Bilancio 2017, non è subordinato a limiti di reddito e non può essere fruito, nel corso dell'anno, in mensilità coincidenti con quelle di fruizione dei benefici per il contributo asili nido o baby sitting di 600 euro mensili (sopra riportato). Non è cumulabile con la detrazione del 19% per le spese documentate sostenute dai genitori per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido (v. in questo sito news del 2/2/2018).

Un premio alla nascita o bonus mamme, di 800 euro una tantum, è riconosciuto dal 1° gennaio 2017 per ciascun figlio nato o adottato a tutte le madri indipendentemente dal possesso di un determinato limite di reddito. Il premio, previsto dalla legge di Bilancio 2017, è corrisposto su domanda della futura madre già al compimento del settimo mese di gravidanza o all'atto dell'adozione.

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In relazione alla fattispecie dei congedi, nella più ampia politica di sostegno alla genitorialità, e fermo restando l'applicazione del Testo Unico maternità/paternità (d.lgsn. 151 del 2001), riteniamo opportuno fornire una nota di lettura di quella che è stata la modifica più rilevante della normativa di questi ultimi anni: il riconoscimento del congedo obbligatorio per i padri, istituito dalla Legge Fornero  nel 2012.

La legge 28 giugno 2012 n. 9 (Legge Fornero), all'articolo 4, comma 24 ha istituito, per la prima volta e in via sperimentale per il triennio 2013/2015, il congedo obbligatorio e il congedo facoltativo fruibili dal padre lavoratore

dipendente -anche adottivo e affidatario-, entro e non oltre il quinto mese di vita del figlio. La durata è di un giorno di congedo obbligatorio e uno facoltativo (alternativo alla madre), retribuiti al 100%.

L'art.1, comma 205, della legge 28 dicembre 2015, n.208 (legge di stabilità 2016) ha disposto la proroga di tali congedi anche per l'anno 2016, aumentando il congedo obbligatorio del padre da uno a due giorni, lasciando invariato quello facoltativo, sempre alternativo alla madre.

La legge di Bilancio 2017 (all' articolo 1, comma 354, legge 11 dicembre 2016, n. 232) ha prorogato solo il congedo obbligatorio per i padri lavoratori dipendenti - anche per le nascite e le adozioni/affidamenti avvenute nell'anno solare 2017- ed ha previsto, per l'anno 2018 e quindi per le nascite dal 1° gennaio 2018, l'aumento del suddetto congedo obbligatorio da due a quattro giorni, anche non continuativi, più il ripristino di un giorno facoltativo sempre alternativo alla fruizione da parte della madre.

E' necessario specificare, però, che per i padri dipendenti delle pubbliche amministrazioni, tale normativa non è direttamente applicabile: la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica- ha chiarito che per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'art.1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, relativamente all'art.1, commi 7 e 8 della citata legge 92 del 2012 (legge Fornero), sino all'approvazione di apposita normativa che, su iniziativa del Ministro per la pubblica amministrazione, individui e definisca gli ambiti, le modalità ed i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, rimangono validi ed applicabili gli ordinari istituti disciplinati dal d.lgs n. 151 del 2001 e nei CCNL di comparto.

Ricordiamo che per fruire del congedo obbligatorio, i padri lavoratori dipendenti devono presentare la domanda esclusivamente sui canali telematici dell'INPS attraverso:

· la modalità di accesso automatico online del sito INPS;

· il Contact center al numero 803 156 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164

164 da rete mobile;

· tramite i patronati.

La legge di bilancio 2018 non ha previsto proroghe per il 2019, quindi questi 4 gg di congedo obbligatorio per i padri, validi solo per il 2018, confermano ancora una volta una scarsa attenzione alle politiche di sostegno alla genitorialità.

Fraterni saluti.

La Segretaria Confederale

(Silvana Roseto)

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Dal 13 gennaio prossimo, anche in caso di infortunio sul lavoro, il dipendente pubblico è tenuto a rispettare le fasce orarie di reperibilità.

Questa è una delle principali novità contenute nel decreto n. 206 del 17 ottobre 2017, pubblicato nella G.U. 302 del 29 dicembre 2017.

Il decreto abroga integralmente il decreto del Ministro per la pubblica Amministrazione e l'innovazione 18 dicembre 2009, n. 206, che disciplinava le attuali fasce di reperibilità per i pubblici dipendenti (dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18) e con il quale erano state previste le seguenti esclusioni dall'obbligo di reperibilità:

"1. Sono esclusi dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l'assenza è etiologicamente riconducibile ad una delle seguenti circostanze:

a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita;

b) infortuni sul lavoro;

c) malattie per le quali è stata riconosciuta la causa di servizio;

d) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta.

2. Sono altresì esclusi i dipendenti nei confronti dei quali è stata già effettuata la visita fiscale per il periodo di prognosi indicato nel certificato".

L'art. 4 del decreto 206/2017 modifica invece le cause che escludono dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità. Infatti, non devono obbligatoriamente restare presso il proprio domicilio i dipendenti per i quali l'assenza è riconducibile ad una delle seguenti circostanze:

"a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita;

b) causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all'ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto;

c) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%".

In sostanza cosa cambia?

Le nuove regole sono indubbiamente più stringenti.

Mentre il punto a) resta invariato (patologie gravi che richiedono terapie salvavita), il punto b del decreto 206/99 viene eliminato e quindi gli infortuni sul lavoro rientrano tra le situazioni che obbligano al rispetto delle fasce di reperibilità.

Per la causa di servizio (attuale punto b), rientrano solo le menomazioni riportate nelle tabelle indicate.

Infine, per gli stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta (punto c) viene introdotta una precisa percentuale di invalidità, al di sotto della quale vige l'obbligo di reperibilità.

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Nuove regole 2018 riguardanti visite fiscali per il personale scolastico

Il prossimo 13 gennaio 2018 entra in vigore il DECRETO 17 ottobre 2017, n. 206, che riguarda il regolamento recante modalità per lo svolgimento delle visite fiscali e per l'accertamento delle assenze dal servizio per malattia, nonché l'individuazione delle fasce orarie di reperibilità, ai sensi dell'articolo 55-septies, comma 5-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. (17G00221).

L'art.2 del su citato decreto specifica che le visite fiscali possono essere effettuate con cadenza sistematica e ripetitiva, anche in prossimità delle giornate festive e di riposo settimanale, fermo restando quanto previsto dall'articolo 55-septies, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

L'art.3 fissa le fasce orarie che, è utile ricordare non sono state modificate, infatti queste sono fissate secondo i seguenti orari: dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18.

All'articolo 4 del Decreto 206/2017 è specificato che sono esclusi dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l'assenza è riconducibile ad una delle seguenti circostanze:

1.    a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita; b) causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all'ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n.834, ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto; c) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%.

È utile ricordare che ai sensi dell'art. 8 del DM 206/2017, ovvero della mancata accettazione dell'esito della visita, qualora il dipendente non accetti l'esito della visita fiscale, il medico è tenuto ad informarlo del fatto che deve eccepire il dissenso seduta stante.

Il medico annota sul verbale il manifestato dissenso che deve essere sottoscritto dal dipendente e contestualmente invita lo stesso a sottoporsi a visita fiscale, nel primo giorno utile, presso l'Ufficio medico legale dell'INPS competente per territorio, per il giudizio definitivo.

In caso di rifiuto a firmare del dipendente, il medico fiscale informa tempestivamente l'INPS e predispone apposito invito a visita ambulatoriale. Il suddetto invito viene consegnato con modalità stabilite dall'INPS nel rispetto della riservatezza ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

Malattia, visite fiscali: chi è escluso dalle fasce di reperibilità?

Come già segnalato altre volte da questa testata, il 13 gennaio entreranno in vigore le nuove regole in merito a malattia e visite fiscali, come previsto dal decreto Madia dello scorso ottobre. Ci concentriamo per il momento sull'articolo 4, recante le "Esclusioni dall'obbligo di reperibilità".

Chi viene escluso dalle fasce di reperibilità?

Infatti, l'art.3 dello stesso decreto fissa le fasce orarie in cui i lavoratori devono mantenere reperibilità per la visita fiscale, ovvero dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18, domenica e festivi compresi.

Da queste fasce di reperibilità, il decreto riporta chi non possiede l'obbligo di rispettare tali fasce orarie, ovvero, sono esclusi dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l'assenza è riconducibile ad una delle seguenti circostanze:

a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita;

b) causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all'ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto;

c) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità' riconosciuta, pari o superiore al 67%.

Per quanto riguarda il punto b), è bene specificare che si tratta del "Definitivo riordinamento delle pensioni di guerra, in attuazione della delega previsto dall'art. 1 della legge 23 settembre 1981, n. 533″, come riporta la nota all'articolo 4 del decreto.

Invece, il punto c) rappresenta una novità per i lavoratori pubblici, in quanto tale esonero di obbligo alla reperibilità era presente solo sul fronte privato, non per quello pubblico.

Niente armonizzazione pubblico-privato: no alla minore incisività dei controlli nella PA

L'idea iniziale era quella di armonizzare i settori pubblico e privato anche per quanto riguarda le visite fiscali, sulla falsariga di quanto è avvenuto con le soglie pensionistiche.
Invece, la Funzione Pubblica ha preferito mantenere i due comparti separati, in quanto "l'armonizzazione alla disciplina prevista per i lavoratori privati avrebbe comportato (per i dipendenti pubblici) una riduzione delle fasce orarie da sette ore giornaliere a sole quattro e, quindi, una minore incisività della disciplina dei controlli".

Malattia, gli orari delle visite fiscali non cambiano ma il medico potrà bussare più volte: pure la domenica

Una delle tendenze degli ultimi anni in tema di lavoro è la progressiva equiparazione tra pubblico e privato. Anche in ambito pensionistico, dove proprio in questi giorni le soglie sono state portate indifferentemente per tutti i dipendenti, a prescindere dal settore di appartenenza, a 66 anni e 7 mesi. La "regola", però, non vale per le visite fiscali, che continueranno ad essere attuate in orari fortemente differenziati. E il medico potrà bussare più volte nel corso anche della stessa giornata, festivi compresi.

Che fine ha fatto l'armonizzazione tra pubblico e privato?

Il prossimo 13 gennaio il decreto 17 ottobre 2017, n. 206, firmato dalla ministra della Funzione Pubblica Marianna Madia di concerto con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che segue la realizzazione del polo unico della medicina fiscale, porterà in vigore il rinnovato regolamento sulle modalità per lo svolgimento delle visite fiscali e per l'accertamento delle assenze dal servizio per malattia, nonché l'individuazione delle fasce orarie di reperibilità, ai sensi dell'articolo 55-septies, comma 5-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. (17G00221).

Nel privato le fasce di reperibilità tra le ore 10 e le 12 e tra le 17 e le 19.

Se nell'articolo 2 del si introduce che le visite fiscali potranno essere effettuate con "cadenza sistematica e ripetitiva, anche in prossimità delle giornate festive e di riposo settimanale" (brutte notizie per gli assenteisti seriali del lunedì), il successivo articolo conferma le tradizionali fasce orarie, le quali vengono mantenute dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18.

Rimane in piedi, quindi, la discrasia con i dipendenti privati, per i quali le finestre di reperibilità nel proprio domicilio risultano decisamente più brevi, poiché comprese tra le ore 10 e le 12 e tra le 17 e le 19.

La Funzione Pubblica dice no alla minore incisività dei controlli nella PA

Ma a cosa è dovuto il mantenimento della differenza? Il presidente dell'Inps, Tito Boeri, ha a lungo caldeggiato l'innalzamento delle fasce dei privati. Venuta mano tale possibilità, si è allora pensato di ridurre quelle dei dipendenti pubblici. Solo che per questa possibilità ha espresso il suo veto il dicastero della Funzione pubblica, per il quale "l'armonizzazione alla disciplina prevista per i lavoratori privati avrebbe comportato (per i dipendenti pubblici) una riduzione delle fasce orarie da sette ore giornaliere a sole quattro e, quindi, una minore incisività della disciplina dei controlli".

Gli unici ad essere esentati dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità saranno i dipendenti con "stati patologici sottesi o connessi alla situazione d'invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%". Percentuale minima già in vigore nel privato ma non presente nella PA. Almeno su questo fronte, l'armonizzazione si è compiuta.

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Lunedì, 08 Gennaio 2018 10:34

Reddito di inclusione: cosa c'è da sapere

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Il Reddito di Inclusione (REI) è una misura di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale introdotta dal decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147, emanato in attuazione della legge-delega 15 marzo 2017 con decorrenza dal 1° gennaio 2018.

Tale misura prevede un beneficio economico erogato attraverso l'attribuzione di una carta prepagata emessa da Poste Italiane SpA ed è subordinata alla valutazione della situazione economica e all'adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa.
Il beneficio economico sarà erogato per un massimo di 18 mesi, dai quali saranno sottratte le eventuali mensilità di Sostegno per l'Inclusione Attiva (SIA) percepite.

Il nucleo richiedente dovrà soddisfare specifici requisiti di residenza e anagrafici, economici, di composizione del nucleo familiare e di compatibilità, specificamente dettagliati nella circolare.

L'ammontare dell'importo è correlato al numero dei componenti del nucleo familiare e tiene conto di eventuali trattamenti assistenziali e redditi in capo al nucleo stesso. In ogni caso, l'importo complessivo annuo non può superare quello dell'assegno sociale.

Coloro che, alla data del 1° dicembre 2017, stanno ancora percependo il SIA potranno presentare immediatamente domanda di REI o decidere di presentarla al termine della percezione del SIA, senza che dalla scelta derivi alcun pregiudizio di carattere economico.
La circolare INPS 22 novembre, n. 172 fornisce leistruzioni amministrative, illustra il riordino delle prestazioni assistenziali finalizzate al contrasto alla povertà, in particolare del Sostegno per l'Inclusione Attiva (SIA) e dell'ASDI (Assegno Sociale di Disoccupazione) e la conseguente rideterminazione del fondo povertà a decorrere dal 2018.
La domanda di accesso alla prestazione potrà essere presentata dal 1° dicembre 2017, presso i comuni o altri punti di accesso identificati dagli stessi, utilizzando il modello (pdf 718KB) allegato alla circolare. Al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata del beneficio, il richiedente deve essere in possesso di un'attestazione ISEE in corso di validità.

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Le promesse erano altre: il bonus bebè doveva essere rifinanziato e reso strutturale seppur rimodulato in termini di finanziamento.

Ricordiamo che l´articolo  1, comma 125 della legge n. 190 del 2014, c.d. bonus bebè, veniva istituito proprio "Al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno": per i nati nel triennio 2015/2017, 80 euro al mese, 960 euro l´anno,  fino ai tre anni del bambino con un limite ISEE di 25 mila euro; raddoppiato invece, 1.920 euro, nel caso in cui l' ISEE non fosse superiore  a 7.000 euro.

E invece non sarà così: niente strutturalità della misura, addirittura valido solo per il 2018, dimezzato e solo fino a un anno del bambino.

Ancora una volta un Governo cieco rispetto al gran bisogno di welfare e sostegno alla genitorialità.

Infatti, nonostante il bonus, che nasceva proprio per incentivare la natalità non vi sono stati cambiamenti demografici. Al contrario, gli ultimi dati ISTAT confermano un crollo delle nascite nel nostro Paese, che raggiunge i minimi storici: nel 2016 in Italia sono nati 473.438 bambini, oltre 12 mila in meno rispetto al 2015.

Come abbiamo più volte ribadito, una politica fatta di soli bonus e di interventi spot, continuando ad operare in una logica prettamente emergenziale e non portando nessun risultato, non può avere ampio respiro.

Abbiamo bisogno di un cambio di rotta, di misure strutturali, di investimenti responsabili a sostegno delle famiglie, altrimenti, inevitabilmente, ci sarà un collasso del Paese.

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Il padre non ha diritto ai permessi giornalieri (artt. 39 e 40 del T.U. 151/2001) se la madre è casalinga, a meno dell'impossibilità di questa di dedicarsi al figlio per ragioni concrete e ben documentate.

Lo chiarisce il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4993/2017, superando precedenti indirizzi interpretativi.

Il caso riguarda un poliziotto che aveva proposto ricorso al TAR dopo che era stata negata la sua richiesta di fruire dei periodi di riposo previsti dall'art. 40, lett. c), del T.U. n. 151/ 2001, in quanto la compagna era una "casalinga". Ad avviso del ricorrente la casalinga non sarebbe per definizione una "lavoratrice dipendente", pertanto ai sensi del citato art. 40 avrebbe dovuto godere lui dei permessi.

Su questo aspetto, come rileva lo stesso Consiglio di Stato, vi sono tuttavia orientamenti contrastanti, in ordine all'interpretazione da riconoscere alla locuzione "lavoratrice dipendente" di cui alla lett. c) dell'art. 40. Questo articolo prevede che "1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre".

Numerosi settori dell'ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice che svolge un'attività non retribuita a favore della propria famiglia che la distoglie dalla cura della prole. Pertanto il padre potrà beneficiare di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto "lavoratrice non dipendente" e pur tuttavia impegnata in attività (quella di "casalinga") che la distolgano dalla cura del neonato.

Per altri, invece, la casalinga non può essere parificata alla donna "non lavoratrice dipendente", posto che "la considerazione dell'attività domestica come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare non esclude, ma, al contrario, comprende anche le cure parentali". D'altronde, il fatto di poter gestire il proprio tempo nell'ambito familiare, le consente di dedicare l'equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure del figlio. Orientamento condiviso ora dal Consiglio di Stato.

Si precisa inoltre nella sentenza che gli articoli 39 e 40 sanciscono la priorità della madre nella fruizione dei permessi: il padre può accedere a tale misura solo in casi predeterminati e tassativi, solo quando la madre, per le circostanze puntualmente stabilite dalla norma, non possa, non voglia o non sia nella condizione di fruire di tali riposi.

"Peraltro, se la madre è casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione: è vero, infatti, che la condizione di casalinga consente, in linea generale e di norma, di assicurare una presenza domestica, ma, laddove ciò nella concreta situazione non sia effettivamente possibile, si determina un vuoto di tutela del minore cui può sopperirsi con la concessione, al padre, del riposo giornaliero ex art. 40".

Si rammenta a ogni buon conto che il Consiglio di Stato, con la precedente sentenza n. 4618 del 10 settembre 2014, aveva ribadito la possibilità da parte del lavoratore di usufruire dei riposi giornalieri anche nel caso di moglie casalinga.

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Lunedì, 06 Novembre 2017 10:30

Chiusura uffici CAF ed ITAL il 7 e il 10 novembre

Informiamo che gli Uffici CAF e ITAL resteranno chiusi martedì 7 novembre per corso di aggiornamento e venerdì 10 novembre, ad Alessandria, per la festività di San Baudolino.

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Dal 12 ottobre 2017, i datori di lavoro hanno l'obbligo di comunicare all'INAIL, ai fini statistici e informativi, anche gli infortuni sul lavoro che comportino un'assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell'evento.

Permane l'obbligo, ai fini assicurativi, di denunciare gli infortuni sul lavoro che comportino un'assenza superiore a tre giorni (art. 53 del DPR n. 1124/1965).

In sostanza, per i primi (infortuni di breve durata) si tratta di una comunicazione a fini statistici e informativi, mentre per i secondi l'obbligo di denuncia è necessario ai fini assicurativi.

La comunicazione va fatta in ogni caso entro 48 ore dal ricevimento del certificato medico.

Si ricorda che questa disposizione prende il via a seguito della pubblicazione del DM n. 183/2016, con cui entra in funzione, il 12 ottobre 2016, il Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), in attuazione dell'art. 8 del D. Lgs. n. 81/2008, al fine di orientare, programmare e valutare l'efficacia delle attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali.

Sempre il DM 183 dispone che a 6 mesi dalla data istitutiva del SINP, e quindi dal 12 aprile 2017, scatta l'obbligo di comunicare in via telematica all'Istituto assicuratore, entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico, l'infortunio con prognosi compresa tra 1 e 3 giorni oltre quello dell'evento (art. 18 c. 1 lett. r, D. Lgs. n. 81/2008).

Tale adempimento è stato poi rinviato, per effetto del "Milleproroghe", dal 12 aprile 2017 al 12 ottobre 2017.

La mancata ottemperanza sarà punita con una sanzione amministrativa da 548 a 1972,80 euro, come previsto dall'art. 55, comm 5, lettera h, del decreto legislativo n. 81/2008.

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No al licenziamento della lavoratrice nel periodo protetto per chiusura reparto.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22720 del 28 settembre 2017, afferma l'illegittimità del licenziamento intimato dal datore di lavoro a una dipendente durante il periodo di gravidanza (c.d. periodo protetto), per chiusura del reparto cui era addetta, nel corso di una procedura di licenziamento collettivo, pur avendone posticipato gli effetti a epoca successiva al compimento del primo anno di vita del figlio.

Ritiene la Cassazione, contrariamente a quanto sostenuto dalla società datrice di lavoro, che la chiusura del solo reparto di contact center presso cui prestava attività la lavoratrice, non legittimasse il licenziamento, secondo un precedente indirizzo che sosteneva un'interpretazione estensiva della "cessazione dell'attività aziendale" (art. 54, comma 3, lettera b), del T.U. n. 151/2001) anche alla "cessazione di un reparto" dotato di autonomia funzionale, come nel caso di specie (v. sentenza n. 23684/2004 ).

Viene così confutato tale orientamento giurisprudenziale in quanto le uniche eccezioni che consentono il licenziamento sono quelle indicate espressamente dal citato art. 54. La cessazione totale dell'attività aziendale rappresenta un principio rigoroso non estensibile.

Si rileva, inoltre, nella sentenza che l'aver rimandato gli effetti del recesso ad un'epoca successiva al compimento del primo anno di vita del figlio (termine del periodo protetto), non vale a modificare i tratti essenziali della fattispecie normativa e del relativo quadro sanzionatorio giacché, attraverso tale espediente, risulta di fatto frustrato lo scopo di tutelare il diritto alla serenità della gestazione, che la Corte Costituzionale con sentenza n. 61 del 1991 aveva posto a fondamento della tutela.

Pertanto, "in tema di tutela della lavoratrice madre, la deroga al divieto di licenziamento dettato dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54 - secondo cui è vietato il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino - prevista dall'art. 54, comma 3, lett. b), del medesimo decreto, opera nell'ipotesi di cessazione di attività dell'azienda alla quale la lavoratrice è addetta ed è insuscettibile di interpretazione estensiva ed analogica...".

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