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Non è sanzionabile la condotta del lavoratore assente dal servizio per una intera giornata, che ha prodotto come giustificazione solo quella che attestava la sua presenza per due ore presso l'ambulatorio oculistico per "improvvisi disturbi visivi", non certificando una malattia per il resto della giornata.

Lo precisa la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10086/2018, respingendo il ricorso di Poste italiane nei confronti di un portalettere che non aveva presentato alcun certificato di malattia per l'assenza di un giorno.

Tale comportamento era stato ricondotto dalla società a un tentativo di eludere la norma contrattuale finalizzata al controllo della malattia, che impone l'invio del certificato medico entro due giorni dall'inizio della stessa.

Di opposto parere la Cassazione che conferma la decisione della Corte di Appello per la quale il comportamento del lavoratore non rientrava nell'ipotesi di simulazione della malattia, come riteneva la società o, in assenza di questa, nelle varie ipotesi per le quali è prevista dal c.c.n.l. l'irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio.

Inoltre - si legge nella sentenza - la Corte di merito nel verificare la sussistenza delle condizioni per applicare la sanzione della sospensione dal servizio, è pervenuta al convincimento che la condotta tenuta dal dipendente, assentatosi per alcune ore di un solo giorno lavorativo, non fosse di particolare gravità, evidenziando che la norma del contratto indica tra le condotte sanzionabili con la sospensione l'assenza arbitraria per tre/sei giorni lavorativi.

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Pubblicate il 13 febbraio in Gazzetta Ufficiale, le rivalutazioni per l'anno 2018, della misura e dei requisiti economici dell'assegno per il nucleo familiare numeroso e dell'assegno di maternità.

Entrambe sono state rivalutate in base alla variazione medie 2017 degli indici ISTAT dell'1,1%.

L'assegno mensile per il nucleo familiare numeroso — ai sensi dell'art. 65 della legge 23 dicembre 1999, n. 449 e successive modifiche e integrazioni – da corrispondere agli aventi diritto per l'anno 2018, se spettante nella misura intera, è pari a 142,85 euro; per le domande relative al medesimo anno, il valore dell'indicatore della situazione economica equivalente è pari a 8.650,11 euro. Per avere diritto a questa prestazione il nucleo familiare deve essere composto almeno da un genitore e tre figli minori (appartenenti alla stessa famiglia anagrafica). Questi ultimi devono essere figli del richiedente o del coniuge o da essi ricevuti in affidamento preadottivo.

L'assegno mensile di maternità – ai sensi dell'art. 74 della legge 26 marzo 2001, n. 151 – da corrispondere agli aventi diritto per l'anno 2018, per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento, se spettante nella misura intera, è pari a 342,62 euro; per le domande relative al medesimo anno, il valore dell'indicatore della situazione economica equivalente è pari a 17.141,45 euro.

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In relazione alla fattispecie dei congedi, nella più ampia politica di sostegno alla genitorialità, e fermo restando l'applicazione del Testo Unico maternità/paternità (d.lgsn. 151 del 2001), riteniamo opportuno fornire una nota di lettura di quella che è stata la modifica più rilevante della normativa di questi ultimi anni: il riconoscimento del congedo obbligatorio per i padri, istituito dalla Legge Fornero  nel 2012.

La legge 28 giugno 2012 n. 9 (Legge Fornero), all'articolo 4, comma 24 ha istituito, per la prima volta e in via sperimentale per il triennio 2013/2015, il congedo obbligatorio e il congedo facoltativo fruibili dal padre lavoratore

dipendente -anche adottivo e affidatario-, entro e non oltre il quinto mese di vita del figlio. La durata è di un giorno di congedo obbligatorio e uno facoltativo (alternativo alla madre), retribuiti al 100%.

L'art.1, comma 205, della legge 28 dicembre 2015, n.208 (legge di stabilità 2016) ha disposto la proroga di tali congedi anche per l'anno 2016, aumentando il congedo obbligatorio del padre da uno a due giorni, lasciando invariato quello facoltativo, sempre alternativo alla madre.

La legge di Bilancio 2017 (all' articolo 1, comma 354, legge 11 dicembre 2016, n. 232) ha prorogato solo il congedo obbligatorio per i padri lavoratori dipendenti - anche per le nascite e le adozioni/affidamenti avvenute nell'anno solare 2017- ed ha previsto, per l'anno 2018 e quindi per le nascite dal 1° gennaio 2018, l'aumento del suddetto congedo obbligatorio da due a quattro giorni, anche non continuativi, più il ripristino di un giorno facoltativo sempre alternativo alla fruizione da parte della madre.

E' necessario specificare, però, che per i padri dipendenti delle pubbliche amministrazioni, tale normativa non è direttamente applicabile: la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica- ha chiarito che per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'art.1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, relativamente all'art.1, commi 7 e 8 della citata legge 92 del 2012 (legge Fornero), sino all'approvazione di apposita normativa che, su iniziativa del Ministro per la pubblica amministrazione, individui e definisca gli ambiti, le modalità ed i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, rimangono validi ed applicabili gli ordinari istituti disciplinati dal d.lgs n. 151 del 2001 e nei CCNL di comparto.

Ricordiamo che per fruire del congedo obbligatorio, i padri lavoratori dipendenti devono presentare la domanda esclusivamente sui canali telematici dell'INPS attraverso:

· la modalità di accesso automatico online del sito INPS;

· il Contact center al numero 803 156 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164

164 da rete mobile;

· tramite i patronati.

La legge di bilancio 2018 non ha previsto proroghe per il 2019, quindi questi 4 gg di congedo obbligatorio per i padri, validi solo per il 2018, confermano ancora una volta una scarsa attenzione alle politiche di sostegno alla genitorialità.

Fraterni saluti.

La Segretaria Confederale

(Silvana Roseto)

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Il prossimo 13 gennaio 2018 entra in vigore il Decreto del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione n. 206/2017 che fissa le modalità per lo svolgimento delle visite di controllo per questi lavoratori a seguito dell'entrata in vigore, dal 1° settembre scorso, del "Polo unico per le visite fiscali che attribuisce all'INPS la competenza esclusiva degli accertamenti.

Il Decreto conferma che le visite mediche di controllo possono essere effettuate durante le fasce di reperibilità dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18, anche nei giorni non lavorativi e festivi, sia su richiesta delle Pubbliche amministrazioni fin dal primo giorno di assenza per malattia, sia su iniziativa dell'Istituto.

Non viene data attuazione alla prospettata armonizzazione tra i due settori: per i dipendenti pubblici le ore di reperibilità restano sette, mentre per i privati quattro (dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 17.00 alle 19.00).

La novità consiste nello svolgimento delle visite che possono essere disposte "con cadenza sistematica e ripetitiva, anche in prossimità delle giornate festive e di riposo settimanale". Cosa significa? Che i controlli potrebbero essere effettuati più volte durante la malattia e anche nell'arco della stessa giornata? Queste modalità dovranno essere chiarite dall'INPS.

Sono esclusi dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l'assenza è riconducibile ad una delle seguenti circostanze:

a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita;

b) causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all'ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 834/1981, ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto;

c) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%.

Il dipendente deve comunicare preventivamente all'amministrazione, che a sua volta lo renderà noto all'INPS, l'eventuale variazione dell'indirizzo di reperibilità, durante il periodo di prognosi.

Qualora il lavoratore non venga reperito nel suo domicilio, il medico di controllo deve lasciare l'invito a visita ambulatoriale presso l'Ufficio medico legale dell'INPS. Sempre l'Ufficio medico legale dovrà emettere il giudizio definitivo nel caso il dipendente si opponga, al momento stesso della visita, al giudizio espresso dal medico di controllo.

Nel caso di rientro anticipato al lavoro, per intervenuta guarigione rispetto alla prognosi iniziale, il lavoratore deve richiedere un certificato sostitutivo al medico che ha redatto il certificato di malattia ancora in corso o ad altro medico in caso di assenza o impedimento del primo.

Restiamo in attesa delle indicazioni operative dell'INPS per il necessario approfondimento in ordine allo svolgimento di queste visite.

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Lunedì, 08 Gennaio 2018 10:34

Reddito di inclusione: cosa c'è da sapere

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Il Reddito di Inclusione (REI) è una misura di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale introdotta dal decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147, emanato in attuazione della legge-delega 15 marzo 2017 con decorrenza dal 1° gennaio 2018.

Tale misura prevede un beneficio economico erogato attraverso l'attribuzione di una carta prepagata emessa da Poste Italiane SpA ed è subordinata alla valutazione della situazione economica e all'adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa.
Il beneficio economico sarà erogato per un massimo di 18 mesi, dai quali saranno sottratte le eventuali mensilità di Sostegno per l'Inclusione Attiva (SIA) percepite.

Il nucleo richiedente dovrà soddisfare specifici requisiti di residenza e anagrafici, economici, di composizione del nucleo familiare e di compatibilità, specificamente dettagliati nella circolare.

L'ammontare dell'importo è correlato al numero dei componenti del nucleo familiare e tiene conto di eventuali trattamenti assistenziali e redditi in capo al nucleo stesso. In ogni caso, l'importo complessivo annuo non può superare quello dell'assegno sociale.

Coloro che, alla data del 1° dicembre 2017, stanno ancora percependo il SIA potranno presentare immediatamente domanda di REI o decidere di presentarla al termine della percezione del SIA, senza che dalla scelta derivi alcun pregiudizio di carattere economico.
La circolare INPS 22 novembre, n. 172 fornisce leistruzioni amministrative, illustra il riordino delle prestazioni assistenziali finalizzate al contrasto alla povertà, in particolare del Sostegno per l'Inclusione Attiva (SIA) e dell'ASDI (Assegno Sociale di Disoccupazione) e la conseguente rideterminazione del fondo povertà a decorrere dal 2018.
La domanda di accesso alla prestazione potrà essere presentata dal 1° dicembre 2017, presso i comuni o altri punti di accesso identificati dagli stessi, utilizzando il modello (pdf 718KB) allegato alla circolare. Al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata del beneficio, il richiedente deve essere in possesso di un'attestazione ISEE in corso di validità.

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Le promesse erano altre: il bonus bebè doveva essere rifinanziato e reso strutturale seppur rimodulato in termini di finanziamento.

Ricordiamo che l´articolo  1, comma 125 della legge n. 190 del 2014, c.d. bonus bebè, veniva istituito proprio "Al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno": per i nati nel triennio 2015/2017, 80 euro al mese, 960 euro l´anno,  fino ai tre anni del bambino con un limite ISEE di 25 mila euro; raddoppiato invece, 1.920 euro, nel caso in cui l' ISEE non fosse superiore  a 7.000 euro.

E invece non sarà così: niente strutturalità della misura, addirittura valido solo per il 2018, dimezzato e solo fino a un anno del bambino.

Ancora una volta un Governo cieco rispetto al gran bisogno di welfare e sostegno alla genitorialità.

Infatti, nonostante il bonus, che nasceva proprio per incentivare la natalità non vi sono stati cambiamenti demografici. Al contrario, gli ultimi dati ISTAT confermano un crollo delle nascite nel nostro Paese, che raggiunge i minimi storici: nel 2016 in Italia sono nati 473.438 bambini, oltre 12 mila in meno rispetto al 2015.

Come abbiamo più volte ribadito, una politica fatta di soli bonus e di interventi spot, continuando ad operare in una logica prettamente emergenziale e non portando nessun risultato, non può avere ampio respiro.

Abbiamo bisogno di un cambio di rotta, di misure strutturali, di investimenti responsabili a sostegno delle famiglie, altrimenti, inevitabilmente, ci sarà un collasso del Paese.

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Il padre non ha diritto ai permessi giornalieri (artt. 39 e 40 del T.U. 151/2001) se la madre è casalinga, a meno dell'impossibilità di questa di dedicarsi al figlio per ragioni concrete e ben documentate.

Lo chiarisce il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4993/2017, superando precedenti indirizzi interpretativi.

Il caso riguarda un poliziotto che aveva proposto ricorso al TAR dopo che era stata negata la sua richiesta di fruire dei periodi di riposo previsti dall'art. 40, lett. c), del T.U. n. 151/ 2001, in quanto la compagna era una "casalinga". Ad avviso del ricorrente la casalinga non sarebbe per definizione una "lavoratrice dipendente", pertanto ai sensi del citato art. 40 avrebbe dovuto godere lui dei permessi.

Su questo aspetto, come rileva lo stesso Consiglio di Stato, vi sono tuttavia orientamenti contrastanti, in ordine all'interpretazione da riconoscere alla locuzione "lavoratrice dipendente" di cui alla lett. c) dell'art. 40. Questo articolo prevede che "1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre".

Numerosi settori dell'ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice che svolge un'attività non retribuita a favore della propria famiglia che la distoglie dalla cura della prole. Pertanto il padre potrà beneficiare di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto "lavoratrice non dipendente" e pur tuttavia impegnata in attività (quella di "casalinga") che la distolgano dalla cura del neonato.

Per altri, invece, la casalinga non può essere parificata alla donna "non lavoratrice dipendente", posto che "la considerazione dell'attività domestica come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare non esclude, ma, al contrario, comprende anche le cure parentali". D'altronde, il fatto di poter gestire il proprio tempo nell'ambito familiare, le consente di dedicare l'equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure del figlio. Orientamento condiviso ora dal Consiglio di Stato.

Si precisa inoltre nella sentenza che gli articoli 39 e 40 sanciscono la priorità della madre nella fruizione dei permessi: il padre può accedere a tale misura solo in casi predeterminati e tassativi, solo quando la madre, per le circostanze puntualmente stabilite dalla norma, non possa, non voglia o non sia nella condizione di fruire di tali riposi.

"Peraltro, se la madre è casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione: è vero, infatti, che la condizione di casalinga consente, in linea generale e di norma, di assicurare una presenza domestica, ma, laddove ciò nella concreta situazione non sia effettivamente possibile, si determina un vuoto di tutela del minore cui può sopperirsi con la concessione, al padre, del riposo giornaliero ex art. 40".

Si rammenta a ogni buon conto che il Consiglio di Stato, con la precedente sentenza n. 4618 del 10 settembre 2014, aveva ribadito la possibilità da parte del lavoratore di usufruire dei riposi giornalieri anche nel caso di moglie casalinga.

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Dal 12 ottobre 2017, i datori di lavoro hanno l'obbligo di comunicare all'INAIL, ai fini statistici e informativi, anche gli infortuni sul lavoro che comportino un'assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell'evento.

Permane l'obbligo, ai fini assicurativi, di denunciare gli infortuni sul lavoro che comportino un'assenza superiore a tre giorni (art. 53 del DPR n. 1124/1965).

In sostanza, per i primi (infortuni di breve durata) si tratta di una comunicazione a fini statistici e informativi, mentre per i secondi l'obbligo di denuncia è necessario ai fini assicurativi.

La comunicazione va fatta in ogni caso entro 48 ore dal ricevimento del certificato medico.

Si ricorda che questa disposizione prende il via a seguito della pubblicazione del DM n. 183/2016, con cui entra in funzione, il 12 ottobre 2016, il Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), in attuazione dell'art. 8 del D. Lgs. n. 81/2008, al fine di orientare, programmare e valutare l'efficacia delle attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali.

Sempre il DM 183 dispone che a 6 mesi dalla data istitutiva del SINP, e quindi dal 12 aprile 2017, scatta l'obbligo di comunicare in via telematica all'Istituto assicuratore, entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico, l'infortunio con prognosi compresa tra 1 e 3 giorni oltre quello dell'evento (art. 18 c. 1 lett. r, D. Lgs. n. 81/2008).

Tale adempimento è stato poi rinviato, per effetto del "Milleproroghe", dal 12 aprile 2017 al 12 ottobre 2017.

La mancata ottemperanza sarà punita con una sanzione amministrativa da 548 a 1972,80 euro, come previsto dall'art. 55, comm 5, lettera h, del decreto legislativo n. 81/2008.

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Giovedì, 26 Ottobre 2017 10:03

INPS: gestione separata e prestazioni di malattia

L'INPS, con la circolare n. 139 del 12 settembre 2017, ricorda che tutti i lavoratori iscritti nella Gestione separata, tenuti a versare un'aliquota contributiva piena (non iscritti presso altre forme pensionistiche obbligatorie e non titolari di pensioni), godono di un'apposita tutela previdenziale in caso di malattia che prevede due distinte prestazioni: indennità di degenza ospedaliera e indennità di malattia.

In particolare, nella circolare si evidenzia che a seguito della legge sul lavoro autonomo (articolo 8, comma 10, della legge n. 81/2017) i periodi di malattia, certificata come conseguente a trattamenti terapeutici di malattie oncologiche, o di gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti o che comunque comportino una inabilità lavorativa temporanea del 100 per cento, sono equiparati alla degenza ospedaliera.

Tale equiparazione dell'evento malattia a un evento di degenza ospedaliera comporta una disciplina diversa riguardo la certificazione sanitaria, la maggiore durata della tutela riconosciuta (da 61 giorni annui a 180 giorni annui) e l'ammontare più favorevole del trattamento economico rispetto alla semplice indennità di malattia.

Ad avviso dell'INPS, il legislatore con questa disposizione ha voluto riconoscere una particolare tutela ai lavoratori iscritti alla Gestione separata in tutti i casi in cui l'indispensabile percorso clinico-assistenziale della malattia possa venire assimilato, per la gravità delle cure somministrate e della patologia in corso, ad una sorta di "degenza domiciliata".

In allegato alla circolare viene fornito un elenco di patologie che rientrano nella specifica tutela stabilita dalla recente normativa (ad es. insufficienza respiratoria o renale, trapianti di organi vitali, Aids, intossicazioni, le malattie psichiatriche).

Per il riconoscimento del diritto alla prestazione, il lavoratore è tenuto a presentare, oltre al certificato di malattia, anche ulteriore documentazione medica (cartelle cliniche, relazioni mediche, accertamenti diagnostici) comprovante l'effettuazione della terapia antineoplastica ovvero la sussistenza di grave patologia cronica.

Qualora non sia possibile accogliere la domanda di malattia ai sensi della nuova disciplina (come degenza ospedaliera), l'INPS procederà, comunque, ove sussistano i requisiti previsti, d'ufficio – senza obbligo di ulteriore istanza – all'erogazione del trattamento economico previsto in caso di malattia.

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Forniamo ulteriori informazioni riguardo i benefici lavorativi concessi ai lavoratori che prestano assistenza ai parenti con accertata grave disabilità.

Ci occupiamo del congedo retribuito biennale previsto dall'art. 42, comma 5 e ss. del T.U. 151/01 (Tutela della maternità e paternità) per l'assistenza ai figli o ai parenti con handicap grave, della durata massima di due anni per ogni persona disabile e durante l'arco della vita lavorativa di colui che lo richiede, frazionabile in mesi, settimane o giorni.

Hanno diritto a fruire del congedo, entro sessanta giorni dalla richiesta:

il coniuge convivente della persona disabile in situazione di gravità, nonché la parte dell'unione civile (equiparata al coniuge) convivente che presti assistenza all'altra parte dell'unione, disabile grave;

il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, della persona disabile in situazione di gravità, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente;

uno dei figli conviventi della persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui il coniuge convivente ed entrambi i genitori del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;

uno dei fratelli o sorelle conviventi della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori ed i figli conviventi del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;

un parente o affine entro il terzo grado convivente della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori, i figli conviventi e i fratelli o sorelle conviventi siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti (Corte Costituzionale sent. n. 203/2013).

Tale ordine di priorità è derogabile solo in presenza di determinate situazioni (mancanza, decesso, patologie invalidanti).

Il congedo straordinario e i permessi (art. 33 legge 104/92) non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l'assistenza alla stessa persona disabile grave, ad esclusione dei genitori.

Il congedo raddoppia quando i figli disabili sono due. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 11031/2017, prevede che in presenza di due figli disabili gravi, il genitore lavoratore potrà fruire del congedo straordinario nel limite di due anni per ciascun figlio e nell'arco della propria vita lavorativa. Il periodo di congedo per il genitore in tali casi raddoppia.

Durante il periodo di congedo il richiedente ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione, ma con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento, (sono prese in considerazione solo le voci retributive che non sono legate alla presenza), nonché all'accredito della contribuzione figurativa. L'indennità e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo annuo rivalutato annualmente secondo gli indici Istat che, per il 2017, è pari a € 47.445,82.

Il periodo di congedo non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto.

Il congedo può essere richiesto anche nel caso in cui l'assistenza sia rivolta ad un familiare disabile che svolga, nel periodo di godimento del congedo, attività lavorativa, pur premettendo che la necessità o meno dell'assistenza è da valutarsi caso per caso.

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