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Mercoledì, 05 Novembre 2014 09:44

Da "Mare Nostrum" a "Triton": domande d'asilo dai Paesi Terzi di Beppe Casucci

Da "Mare Nostrum" a "Triton": domande d'asilo dai Paesi Terzi. Ma intanto chi salverà le persone dai naufragi? (di Beppe Casucci)

Roma, 4 novembre 2014 - Il Governo ha annunciato la conclusione di "Mare Nostrum", dopo una fase di accompagnamento all'operazione europea Triton:
accompagnamento che durerà fino a fine anno.

L'operazione di salvataggio in mare è durata 13 mesi ed ha soccorso 150 mila esseri umani, in maggioranza profughi.

E' ben noto che Triton, parte delle attività di Frontex, ha come scopo della missione il  pattugliamento ed il controllo delle acque territoriali e non è attrezzato per operazioni di soccorso in mare. Inoltre, non si allontanerà oltre le 30 miglia marittime dalle coste italiane.

In pratica, solo in caso di richiesta esplicita di soccorso da parte dei navigli in difficoltà, le poche navi europee sarebbero autorizzate a recarsi in acque internazionali per aiutare chi rischia di affogare. Il rischio concreto, naturalmente, è che il numero di perdite di vite umane cresca in modo esponenziale. Anche in caso di salvataggio non è chiaro dove i naufraghi verrebbero portati e quale sarebbe il loro destino.

"L'operazione  Mare Nostrum ci è costata 100 mila euro al giorno": l'informazione viene dal Ministero dell'Interno ed è stata riportata con clamore da molti mass-media.  Ora al di là del dubbio gusto dell'attribuire, sia pur indirettamente, un valore monetario alla vita umana (costo medio pro-capite di 760 €, ndr), quello che la stampa ancora non dice è che in parte i costi di Mare Nostrum ricadranno sul bilancio UE. Non bisogna inoltre dimenticare che i costi dei mezzi e degli uomini della Marina, finora lodevolmente impegnati a salvare decine di migliaia di essere umani, continueranno a pesare sul bilancio italiano con o senza la partecipazione a Mare Nostrum o a Triton.

E bisognerebbe forse  anche ricordare che nel 2010 – 2011 la protezione temporanea data dal Governo di allora a circa 60 mila tunisini costò all'Italia 1,4 miliardi di euro. Soldi che non sono andati ai migranti ma a migliaia di hotel che li hanno ospitati ed alle centinaia di associazioni e ed organizzazioni incaricati nell'offerta
della (scadente, ma costosa) accoglienza.

Quanto ad alcuni paesi del Nord Europa, prima ci hanno criticato (giustamente) per i respingimenti in mare – tra l'altro censurati dalla Corte di Giustizia Europea – ora però ci criticano per aver salvato le persone in mare, nella supposta certezza che Mare Nostrum abbia funzionato da pull – factor di
altre migliaia di disperati. Non è proprio così in quanto la pressione migratoria dall'Africa ha che vedere con la situazione drammatica di molti Paesi (a cominciare da Iraq e Siria): è iniziata prima di Mare Nostrum e continuerà senza fallo nell'era di Triton.

Oggi il Ministro Alfano indica giustamente un'alternativa: "si potrebbe – dice - far fare le domande d'asilo direttamente in Africa: questo anche per evitare il pericolo delle traversate". Com'è noto il Regolamento di Dublino obbliga il richiedente asilo a fare domanda solo dopo aver calpestato suolo
europeo. Non c'è dubbio che rendere possibile la richiesta d'asilo nei Paesi Terzi, ridurrebbe il numero di quanti usualmente si mettono nelle mani degli scafisti, a loro grave rischio e pericolo.

La UIL sostiene da tempo questa ipotesi ed è d'accordo in principio col Ministro. Per renderla possibile però bisognerebbe cambiare  il Regolamento di Dublino ed attrezzare a questo scopo le sedi delle ambasciate UE in Africa o la stessa Acnur che potrebbe raccogliere in loco le richieste d'asilo.

Non è una strada facile: intanto molti stati Membri UE sono assolutamente contrari a cambiare Dublino III; c'è poi la situazione di latente guerra civile in Libia a rendere questa ipotesi più un'illusione che una possibilità.

E' comunque un percorso auspicabile che va studiato e reso praticabile.
L'Italia è di turno nel semestre di Presidenza europea: ci vuole maggiore volontà e determinazione nel chiamare gli altri Stati Membri  ad un'assunzione collettiva di responsabilità.

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