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E' grave che un Istituto come l'Inps diffonda notizie imprecise. Quando si parla di regole contributive e previdenziali "molto vantaggiose" per i sindacalisti si esprime una valutazione così generica e sommaria da far sospettare che l'intento sia quello di ingenerare discredito e non di fare chiarezza.
In realtà, senza scendere nei tecnicismi e in parole povere, accade quanto segue. Quando un sindacalista lascia la sua azienda o il suo ufficio per intraprendere un'attività sindacale, la sua carriera professionale e i suoi emolumenti vengono automaticamente bloccati e si cristallizzano a quel momento.

Se quella persona - che magari era un operaio, un commesso, un impiegato - diventa poi un dirigente sindacale è del tutto normale che il Sindacato per il quale egli lavora possa intervenire e adeguare la sua condizione economica e contributiva al nuovo stato.

Non si sarebbe forse determinato lo stesso effetto pratico se avesse proseguito la sua attività nel luogo di lavoro di provenienza? Al contrario, se così non accadesse, risulterebbe lui enormemente svantaggiato! Nessun vantaggio, dunque, né condizione di privilegio per i sindacalisti.

Qualche eccesso è stato consumato. Ma non è provando a gettare discredito su un'intera categoria che si risolvono i problemi del Paese che, di certo, non sono generati dal legittimo adeguamento degli stipendi e delle pensioni di qualche sindacalista.

Roma, 4 settembre 2015

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