"Il taglio delle tasse in busta paga per 16 milioni di lavoratrici e lavoratori, a partire da luglio prossimo, è un primo importante risultato della mobilitazione promossa dai sindacati nei mesi scorsi. Adesso bisogna battersi per una complessiva riforma fiscale, che continui a ridurre le tasse ai lavoratori e inizi a ridurle anche ai pensionati". È quanto si legge in una nota unitaria di Cgil, Cisl e Uil. Per le tre Confederazioni "la riforma fiscale dovrà ispirarsi al principio costituzionale di progressività e dovrà ridefinire le aliquote Irpef e i relativi scaglioni. Parte integrante di questa azione - proseguono - dovrà essere l'implementazione della lotta all'evasione fiscale, attraverso la quale recuperare risorse preziose per la collettività"."Chiediamo al Governo di aprire un confronto di merito con il sindacato su questi temi con l'obiettivo - concludono Cgil, Cisl e Uil, di definire una riforma fiscale equa, utile anche alla straordinaria ricostruzione economica e produttiva a cui il Paese è chiamato".
Dichiarazione di Domenico Proietti, Segretario Confederale UIL
L'Agenzia delle Entrate deve porsi l'obiettivo di recuperare nel 2018 almeno il 25% dell'evasione fiscale, mentre oggi ne recupera appena il 15%, rispetto ai 111 miliardi di evasione, stimati dalla commissione governativa Giovannini.
Il Direttore Ruffini definisce l'agenzia delle entrate come una sorta di tutor autostradale "che dovrebbe aiutare il cittadino a stare nel perimetro delle regole". Ricordiamo che in campo fiscale le regole non sono uguali per tutti. I lavoratori dipendenti e pensionati, infatti, prima pagano le tasse e poi prendono lo stipendio e la pensione, altri decidono come e quando fare il proprio dovere con il fisco.
Occorre dispiegare una reale volontà politica e amministrativa per contrastare questo fenomeno insopportabile per il nostro sistema economico e per la nostra democrazia, utilizzando al meglio il grande patrimonio di risorse professionali presenti nella Agenzia delle entrate. È un obiettivo realistico che consentirebbe da subito di abbassare le tasse ai cittadini onesti.
Quando si parla di spese mediche detraibili si fa riferimento alla possibilità per i contribuenti di scaricare dalle tasse una parte, pari al 19%, di quanto hanno speso per cure mediche e assistenza sanitaria per sé o per familiari a carico.
Le spese mediche detraibili sono quelle che possono essere portate in detrazione dalla dichiarazione dei redditi 2016, tramite presentazione del 730 precompilato, 730 ordinario o tramite Unico precompilato o modello Unico PF ordinario da parte di tutti coloro che hanno acquistato beni o servizi relativi a prestazioni medico sanitarie, superiori alla franchigia di 129,11 euro, per loro stessi o per conto del familiare fiscalmente a carico (ovvero coniuge, figli, genitori, generi e nuore, fratelli o sorelle).
Spese mediche detraibili: cos'è la franchigia
La franchigia è quell'importo oltre il quale le spese per prestazioni medico-sanitarie, farmaci, dispositivi medici e veterinari, godono della detrazione pari al 19%. Si calcola sommando tutte le spese sostenute nel corso del 2016: da questo importo si sottraggono 129,11 euro. Al risultato ottenuto si applica il 19%.
Esempio: le spese mediche sostenute sono pari a 400 euro. Meno 129,11 (l'importo della franchigia) = 270,89 euro. A questo punto, si calcola il 19% di 270,89 = 51,47 euro. Ecco l'importo detraibile.
Può succedere che l'importo totale delle spese mediche non superi la franchigia: in tal caso non è possibile alcuna detrazione.
Elenco spese mediche detraibili
Con la dichiarazione dei redditi 2017, saranno inserite delle nuove spese mediche nella precompilata, quali quelle sostenute per:
prestazioni chirurgiche;analisi, indagini radioscopiche, ricerche e applicazioni;prestazioni specialistiche;acquisto o noleggio di protesi sanitarie e spese per la loro manutenzione;prestazioni rese da un medico generico, tra cui visite e cure omeopatiche;prestazioni rese da un professionista (fisioterapista, dietista, infermiere, podologo, educatore professionale, logopedista, igienista dentale, ecc.);ricoveri per operazioni chirurgiche o degenze;acquisto di farmaci con prescrizione medica o da banco e medicinali omeopatici;acquisto o affitto di dispositivi medici: ad esempio, misuratore per la pressione o aerosol, a patto che si sia conservato il relativo scontrino o fattura da cui risulti il nome di chi ha effettuato la spese e la descrizione del dispositivo contrassegnato dalla marcatura CE;trapianto di organi;cure termali;ticket sanitario Ssn;spese per fecondazione assistita.
Chiaramente va conservato lo scontrino o la fattura o la ricevuta fiscale, rilasciata dal veterinario, per 5 anni.
I portatori di handicap e gli invalidi o i propri familiari non sono soggetti alla franchigia di 129,11 euro e possono detrarre anche le spese sostenute per i mezzi per la deambulazione e per i sussidi tecnici informatici (come poltrone, arti artificiali, costruzione di rampe, trasporto in ambulanza, fax, modem, computer) e per l'adattamento delle auto alle limitazioni della persona (la detrazione spetta una volta in 4 anni per una sola macchina e per non più di 18.075,99 euro). I non vedenti possono detrarre anche 516,46 euro l'anno per il mantenimento del cane guida.
Spese mediche detraibili: familiari non a carico
Sono detraibili anche le spese mediche sostenute per familiari non a carico ma solo se vengono rispettati determinati requisiti e condizioni. Il familiare/parente non a carico deve:
avere un reddito inferiore a 2.804,51 euro;essere esente dalla spesa sanitaria pubblica, nel senso che deve avere un'esenzione del ticket sanitario per reddito, patologia, età, ecc.
Non sono detraibili le spese per integratori alimentari e prodotti fitoterapici, cosmetici, pomate e colliri.
Spese mediche detraibili: riconoscere i farmaci
Per riconoscere farmaci e parafarmaci detraibili è necessario capire a quale categoria appartengono. Sono detraibili, infatti, solo quelli che:
riportino le diciture "farmaco", "medicinale" o abbreviazioni come "med." o "f.co" che indicano inequivocabilmente farmaci;dispongono di codice per l'autorizzazione all'immissione in commercio Aic;sono prodotti omeopatici;sono farmaci galenici officinali e magistrali, preparati dietro prescrizione medica;medicinali fitoterapici;sono Sop-Otc, cioè farmaci da banco o per automedicazione senza prescrizione medica.
Spese mediche detraibili: come scaricarle dalle tasse
Per poter scaricare le spese mediche dalle tasse, occorre provare di aver sostenuto i relativi costi: utili in tal senso, quindi, fatture, parcelle, ricevute o lo scontrino parlante, cioè quello che riporta l'indicazione della natura, della quantità dei prodotti acquistati e del codice alfanumerico posto sulla confezione. Ad esempio, per l'acquisto dei medicinali sarà sufficiente lo scontrino parlante, per i dispostivi medici serve la fattura, per le visite mediche effettuate da un medico generico o da uno specialista serve il ticket, la ricevuta fiscale o fattura; per i ricoveri, la ricevuta o la fattura rilasciata dall'ospedale o dalla casa di riposo.
Le pensioni italiane non sono rivalutate al reale costo della vita. Non solo, i pensionati del nostro Paese pagano il doppio della media delle tasse pagate dai pensionati europei. In Europa, infatti, l'aliquota media è del 12,66%, in Italia invece è pari al 21% senza contare l'ulteriore tassazione inerente alle addizionali locali e regionali, che fanno aumentare significativamente questa percentuale.
Per la UIL e la UIL Pensionati è indispensabile varare subito un taglio delle tasse ai pensionati. Questo provvedimento, più volte annunciato dal Governo e mai realizzato, è indispensabile per motivi di equità e giustizia sociale, ma anche per rilanciare i consumi e la domanda interna con un beneficio complessivo per il nostro sistema.
Dichiarazione completa in allegato.
Con la Tari, le inefficienze delle società addette all'asporto dei rifiuti sono state scaricate sui cittadini.
Tra il 2010 e il 2015, fa notare l'Ufficio studi della CGIA, una famiglia con 4 componenti che vive in un casa da 120 mq ha subito un aumento del prelievo relativo all'asporto rifiuti del 25,5 per cento, pari, in termini assoluti, ad un aggravio di ben 75 euro. Quest'anno dovrà versare al proprio Comune ben 368 euro di Tari. Un'altra di 3 componenti, che abita in un appartamento da 100 mq, ha subito un aumento del 23,5 per cento (+57 euro). Nel 2015 dovrà versare quasi 300 euro. Un nucleo di 3 persone che risiede in un'abitazione da 80 mq, invece, ha dovuto pagare il 18,2 per cento in più (+35 euro). In questo caso, l'importo complessivo che dovrà pagare per i rifiuti sarà pari a poco più di 227 euro.
Per le attività economiche, le cose sono andate anche peggio. Nonostante la forte riduzione del giro d'affari, ristoranti, pizzerie e pub con una superficie di 200 mq hanno subito un incremento medio del prelievo del 47,4 per cento, pari, in termini assoluti, a +1.414 euro. Un negozio di ortofrutta di 70 mq, invece, ha registrato un incremento del 42 per cento (+ 560 euro), mentre un bar di 60 mq ha dovuto versare il 35,2 per cento in più, pari ad un aggravio di 272 euro. Più contenuto, ma altrettanto pesante, l'aumento subito dal titolare di un negozio di parrucchiere (+23,2 per cento), dai proprietari degli alberghi (+17 per cento) e da un carrozziere (+15,8 per cento).
Questi risultati, sottolinea la CGIA, sono stati ottenuti dopo aver preso in esame le tariffe sui rifiuti applicate alle famiglie e alle imprese nei principali Comuni capoluogo di regione.
Nel corso degli ultimi anni sono state numerose le novità che hanno riguardato il prelievo sui rifiuti. Fino a qualche anno fa pagavamo la Tarsu (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), anche se molti Comuni l'avevano rimpiazzata con la Tia (Tariffa di igiene ambientale). Nel 2013 il legislatore ha introdotto la Tares (Tassa sui rifiuti e servizi), mentre dal 2014 quest'ultima ha lasciato il posto alla Tari (Tassa sui rifiuti).
La Tari è stata introdotta con la Legge di Stabilità 2014, in ossequio al principio comunitario "chi inquina paga": in buona sostanza si è voluto sancire la corrispondenza tra la quantità di rifiuti prodotti e l'ammontare della tassa.
Con l'introduzione della Tari, è stato ulteriormente confermato il principio che il costo del servizio in capo all'azienda che raccoglie i rifiuti dev'essere interamente coperto dagli utenti, attraverso il pagamento della tassa. E il problema, purtroppo, sta proprio qui.
Segnala Paolo Zabeo della CGIA:
"Queste aziende, di fatto, operano in condizioni di monopolio, con dei costi spesso fuori mercato che famiglie e imprese, nonostante la produzione dei rifiuti sia diminuita e la qualità del servizio offerto non sia migliorata, sono chiamate a coprire con importi che in molti casi sono del tutto ingiustificati. Proprio per evitare che il costo delle inefficienze gestionali vengano scaricate sui cittadini, la legge di Stabilità del 2014 ha ancorato, dal 2016, la determinazione delle tariffe ai fabbisogni standard. Grazie all'applicazione di questa nuova modalità, è probabile che dall'anno prossimo la tassa sui rifiuti diminuisca".
Sebbene in questi ultimi anni il costo economico sulle famiglie sia decisamente aumentato, dall'inizio della crisi ad oggi la produzione dei rifiuti urbani ha subito una forte contrazione. Se nel 2007 ogni cittadino italiano ne "produceva" quasi 557 kg, nel 2013 (ultimo dato disponibile) la quantità è scesa a poco più di 491 Kg per abitante. "In buona sostanza – conclude Zabeo – nonostante abbiamo prodotto meno rifiuti, la raccolta e lo smaltimento degli stessi ci sono costati di più".
Secondo l'Ufficio studi della CGIA, le imposte, le tasse e i tributi che versiamo allo Stato centrale sono tre volte superiori a quelle che paghiamo a Regioni ed enti locali. Nel 2014, ad esempio, all'erario sono "confluiti" ben 379,7 miliardi, nelle casse dei Governatori e dei Sindaci, invece, sono stati versati solo, si fa per dire, 106,1 miliardi di euro.
Sul totale delle entrate tributarie incassate dalle Amministrazioni centrali, il 60 per cento circa è riconducibile all' Irpef (161,4 miliardi), all'Iva (97,1 miliardi) e all'Ires (31 miliardi). A livello locale, invece, le imposte più "pesanti" sono l'Irap (30,4 miliardi di gettito), l'Imu/Tasi (21,1 miliardi), l'addizionale regionale Irpef (10,9 miliardi) e l'addizionale comunale Irpef (4,4 miliardi).
Su un totale di 485,8 miliardi di entrate tributarie percepite l'anno scorso dal fisco, il 78 per cento circa è finito nelle casse dello Stato centrale e solo il 22 per cento circa agli enti locali.
"Nell'immaginario collettivo – esordisce Paolo Zabeo della CGIA – si è diffusa l'idea che in questi ultimi anni Governatori e Sindaci sarebbero diventati dei nuovi gabellieri, mentre lo Stato centrale avrebbe alleggerito la pressione fiscale nei confronti dei contribuenti. In realtà, le cose non sono andate proprio così. Se è vero che negli ultimi 15 anni le tasse locali sono aumentate del 48,4 per cento, quelle in capo alle Amministrazioni centrali sono cresciute del 36,1 per cento. Un po' meno, ma non di molto. In termini assoluti, dalle Regioni e dagli enti locali abbiamo subito un aggravio fiscale di 34,6 miliardi di euro, mentre il peso del fisco nazionale è aumentato di ben 100,7 miliardi. Insomma, se dal 2000 le imposte locali hanno cominciato a correre, quelle erariali hanno registrato in valore assoluto un'espansione molto più vigorosa, con il risultato che le famiglie e le imprese, loro malgrado, sono state costrette a pagare sempre di più".
E' comunque doveroso sottolineare che enti locali e Regioni hanno aumentato i tributi in misura superiore ai tagli praticati dal centro.
Un confronto diretto tra la dinamica dei tributi locali e l'andamento dei trasferimenti risulta non del tutto agevole, anche in ragione dell'ampiezza dell'arco temporale considerato (dal 2000 ad oggi).
In questo periodo, evidenzia l'Ufficio studi della CGIA, sono state introdotte numerose modifiche normative che hanno avuto degli impatti significativi sui rapporti finanziari tra Stato ed Amministrazioni locali. Ad esempio, il finanziamento della sanità in capo anche alle Regioni (con il Decreto legislativo n. 56/2000), l'aumento "obbligatorio" dell'aliquota dell'addizionale regionale IRPEF dello 0,33 per cento (disposto dal decreto Salva Italia di fine 2011) e il taglio ai trasferimenti di Regioni ed enti locali a seguito delle manovre correttive di finanza pubblica.
"In ogni caso – conclude Zabeo – in questi ultimi anni i trasferimenti correnti statali a beneficio di Regioni ed enti locali sono passati dai 53 miliardi di euro nel 2000 ai 35 miliardi nel 2013 , ultimo anno disponibile, con una flessione del 35 per cento, pari a 18 miliardi di euro. Sempre nello stesso periodo, le entrate tributarie a livello locale sono cresciute di 32,6 miliardi. Un importo, quest'ultimo, nettamente superiore ai 18 miliardi di tagli subiti."
Tuttavia, è negli ultimi sette anni che si registra un vero e proprio crollo dei trasferimenti. Lo ha fatto notare recentemente anche la Corte dei Conti: tra il 2008 e il 2015 le manovre finanziarie hanno disposto "22 miliardi di tagli nei trasferimenti provenienti dallo Stato (di cui circa 10 miliardi a carico delle Regioni e i restanti 12 miliardi ad appannaggio degli enti locali), cui vanno aggiunti i tagli al finanziamento del fabbisogno del sistema sanitario gestito dalle Regioni per complessivi 17,5 miliardi" .
Comunicato stampa e tabelle in allegato.
Le proteste non sono un'invenzione politica, ma nascono dal disagio e dai problemi delle persone: i sindacati non possono far altro che raccoglierle, rappresentarle e cercare di trovare soluzioni, se ci sono controparti disposte a discutere, cosa che oggi non succede.
Le piazze che manifestano servono a indicare le cose che devono cambiare. Il consenso nei confronti del Governo, però, è una questione politica e si ottiene nell'urna elettorale: è così che si fanno cadere o si rieleggono i governi. I Governi che cadono nelle piazze appartengono a una specie di repubblica delle banane.
Le Regioni hanno molte cose da farsi perdonare e, quindi, sono le ultime che possono protestare, anche se è ragionevole sostenere che non possano fare risparmi importanti in pochi mesi: è l'unico elemento su cui hanno ragione. Siamo favorevolissimi alla riduzione delle tasse ai lavoratori dipendenti; dovrebbero essere ridotte anche ai pensionati, però. Così come siamo favorevoli alla riduzione delle tasse alle imprese virtuose. Ed è su questo che il Governo dovrebbe riflettere. Gli imprenditori non sono tutti uguali, ci sono quelli che investono e assumono, ci sono quelli che non sono capaci e, poi, ci sono anche i farabutti: dare i soldi a tutti, indistintamente, non mi sembra una buona scelta. Il Governo, quindi, dovrebbe ridurre le tasse solo alle imprese virtuose. Quando si dice che, ora, le imprese non hanno più alibi e devono investire, infine, si dà l'impressione di non conoscere una delle leggi fondamentali dell'economia che si può compendiare in una battuta: 'si può portare un asino alla fontana, ma non si può costringerlo a bere'.
Siamo di fronte a un Governo che, come tutti i suoi predecessori, ha continuato a violare tutte le regole di buon senso, oltre a quelle relative al sistema delle relazioni industriali, negando per anni aumenti salariali ai lavoratori del pubblico impiego. Peraltro, ciò non fa altro che deprimere la domanda interna e, dunque, non è una buona cosa nemmeno dal punto di vista economico.
Il Presidente del Consiglio, qualche tempo fa, ha detto che dovremmo fare come in Germania: lì, però, i corpi intermedi vengono considerati alla stessa stregua dello Stato. Ieri, invece, sembra che abbia parlato di "disintermediazione". Insomma, non dà un'idea molto nitida di come pensa che debba essere la società italiana.
"Ieri è stata una bella giornata. Dopo 4 anni di scioperi e manifestazioni, finalmente abbiamo trovato un governo che ha fatto la cosa giusta: ridurre le tasse ai lavoratori. È sicuramente il provvedimento migliore e rappresenta una svolta nella politica economica. L'ultima riduzione, peraltro di entità inferiore, risale a 12 anni fa: poi è stato un susseguirsi di aumenti di tasse e, quindi, della disoccupazione.È sicuramente l'inizio, nessuno pensa che ci possano essere dei miracoli, però questa è la scelta giusta: rilancerà i consumi, la ripresa e l'occupazione, ci saranno sicuramente effetti espansivi".
Per quel che riguarda i provvedimenti sul mercato del lavoro, si tratta di "una razionalizzazione e non di una rivoluzione. L'obiettivo di rendere più agevoli le assunzioni non può che essere condiviso. Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali i cambiamenti saranno assolutamente graduali e non stravolgeranno l'attuale assetto. Cercheranno di espandere la copertura ai co.co.pro. : una cosa importante, ma non una rivoluzione. La riforma Fornero viene modificata non smantellata. Non c'è un rovesciamento di logica".
"Adesso si tratterà di fare un ulteriore passo avanti per la semplificazione e la riduzione dei vincoli burocratici di questo Paese. Siamo però nella giusta direzione: è stato fatto non un "passetto", ma un passo molto lungo verso la svolta".
La Uil denuncia la stangata in arrivo a marzo: tasse locali in aumento. Nelle grandi città guida la poco invidiabile classifica Roma, dove l'acconto e il saldo peseranno mediamente 139 euro; a Torino 126 euro; a Napoli 123 euro e a Milano si pagheranno mediamente 107 euro
Ecco la notizia riportata oggi dai media nazionali.
Se il governo promette di dare più soldi nelle tasche degli italiani, ci pensano gli enti locali ad alleggerire la busta paga. A marzo, infatti, arriva un antipasto indigesto da pagare con gli acconti e i saldi delle addizionali regionali e comunali Irpef. Secondo la Uil, i lavoratori dipendenti ed i pensionati troveranno pagheranno in media 97 euro, pari al 29,3% in più rispetto a marzo dello scorso anno, con punte di 139 euro a Roma.
Per l'intero 2014 l'Irpef federale peserà mediamente 564 euro (+12,1% rispetto all'anno scorso).
A marzo, spiega sempre lo studio del Servizio politiche territoriali della Uil (con una elaborazione sul peso delle aliquote Irpef locali per un reddito medio di 23mila euro), in particolare per l'Irpef regionale si pagheranno mediamente 59 euro, a fronte dei 49 euro dello scorso anno (+20,4%), mentre per l'Irpef comunale 38 euro, a fronte dei 26 euro dello scorso anno (+46,1%). In totale, dunque, mediamente si sborseranno 97 euro (+29,3%).
Aumenti aliquota dei Comuni - Gli acconti, per l'Irpef regionale e comunale, sottolinea il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy, sono gravati dagli aumenti apportati da alcune Regioni per quest'anno, ma soprattutto, per quanto riguarda l'Irpef comunale, ci sarà l'effetto degli aumenti di aliquota decisi dai Comuni lo scorso anno.
Dai 139 euro di Roma ai 107 di Milano - Nelle grandi città come Roma l'acconto e il saldo peseranno mediamente 139 euro (83 euro per l'Irpef regionale e 56 euro per quella comunale); a Torino 126 euro (76 euro per l'Irpef regionale e 50 euro per quella comunale); a Napoli 123 euro (73 euro per l'Irpef regionale e 50 euro per quella comunale); a Genova 115 euro (65 euro per l'Irpef regionale e 50 euro per quella comunale). A Milano si pagheranno mediamente 107 euro (57 euro per l'Irpef regionale e 50 per quella comunale) e si faranno sentire l'aumento dell'aliquota decisa dal Comune e la riduzione delle agevolazioni per i redditi sotto i 33.500.
Pressione fiscale - Nel frattempo si sta delineando, come per alcune Regioni, un trend in crescita per l'Irpef comunale 2014. Su 104 Comuni che hanno deliberato per il 2014, 43 di hanno aumentato l'aliquota. Aumenti, questi, "alquanto dolorosi - sottolinea Loy - in quanto le addizionali si pagano sull'intero imponibile e non tengono conto delle detrazioni per la produzione del reddito. Per questo, è fondamentale ripensare l'intera politica economica e fiscale del Paese, che metta al centro la questione di una diversa ripartizione della pressione fiscale, alleggerendo il carico alle persone con un reddito fisso". Ciò che maggiormente preoccupa, viene infine sottolineato, è il possibile dato finale su quanto lavoratori e pensionati pagheranno di tasse locali: quella regionale passerà mediamente dai 363 euro del 2013 ai 409 euro del 2014 (+12,7%), con picchi di 536 euro nel Lazio (+34,3%) e 490 euro in Piemonte (+25,3%). L'Irpef comunale passerà dai 140 euro medi pagati nel 2013 ai 155 euro medi di quest'anno (+10,7%), con punte di 207 euro a Roma e 184 euro a Napoli, Milano e Torino. Ossia 564 euro medi (+12,1%).
"Il Miur non decide, non chiarisce e più di 300 lavoratori delle scuole piemontesi, assistenti amministrativi e tecnici, rischiano il licenziamento (che per uno è già scattato).
Non è accettabile che l'inerzia, l'immobilismo del Ministero, l'indecisione e l'impotenza de...lla Direzione Regionale del Piemonte venga pagata a caro prezzo dai lavoratori.
Con la nota n. 8468 del 26 agosto 2013 il Miur dava indicazione agli uffici periferici che le nomine di questi lavoratori dovevano essere effettuate" fino a nomina dell'aventi diritto, ai sensi dell'art.40 della L.449/97..." anche in presenza di posti vacanti e/o disponibili (31 agosto o 30 giugno ), tutto ciò in attesa di risolvere l'annosa situazione dei docenti inidonei.
Tali nomine sono considerate supplenze brevi (anche se i posti sono liberi) e in quanto tali, questi lavoratori hanno diritto a 30 giorni di malattia pagati al 50%, terminati i quali scatta il licenziamento.
A nostro avviso essendo supplenze su posti vacanti, devono essere considerati posti annuali.
Questa è la cruda realtà in cui si trovano moltissimi lavoratori che, ammalandosi, si sono visti pagate le giornate di malattia al 50% e in altri casi si sono visti recapitare il decreto di licenziamento da parte di solerti Dirigenti Scolastici, i quali, in alcuni casi su indicazione dell'Ufficio Scolastico Regionale (intervenuto su nostra segnalazione), si sono astenuti dal fare provvedimenti di licenziamento in attesa del chiarimento da parte del Miur, in altri casi invece non hanno voluto attendere tale chiarimento e quindi hanno provveduto alla decadenza dalla nomina.
Non è tollerabile che i lavoratori paghino le mancate scelte del Miur.
Non è ammissibile che dai mancati chiarimenti dell'Amministrazione vengano danneggiati e penalizzati sempre e comunque i lavoratori.
Chiediamo al Ministro Carrozza e alla Direttore Regionale del Piemonte Pupazzoni un intervento immediato al fine di evitare queste ingiustizie, nell'attesa la Uil-Scuola del Piemonte tutelerà in tutte le sedi competenti i lavoratori che saranno oggetto di tali ingiustificate penalizzazioni".
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