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Martedì, 26 Aprile 2016 10:23

Osservazioni sul DEF 2016: le materie che riguardano il Pubblico Impiego

A cura dell'Servizio Politiche Contrattuali del Pubblico Impiego.

I contratti degli statali, già fermi dal 2010, rischiano di rimanere ancora congelati.

Nel Documento economico e finanziario (Def) non vi è, infatti, alcuna voce di spesa relativa al rinnovo dei contratti del pubblico impiego da qui al 2019.

Ancora una volta, a farne le spese sono i lavoratori del pubblico impiego. Le misure di contenimento susseguitesi dal 2010 ad oggi hanno riguardato sia la numerosità dei dipendenti pubblici sia la loro remunerazione. In particolare sono stati: rafforzati i limiti già esistenti al turn over; congelata la contrattazione collettiva - prima di diritto, fino alla sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015, ed ora di fatto per i motivi che seguiranno-; disposti effetti solo giuridici degli avanzamenti e progressioni di carriera del personale dal 2011 e fino al 2014; resi permanenti i tagli disposti sui fondi per la contrattazione integrativa in base alla riduzione del personale in servizio; imposti tetti alle remunerazioni stipendiali più elevate.

Con l'ultimo Def, nonostante l'accordo sui comparti, nulla cambia per il pubblico impiego.

Si conferma, infatti, il trend della spesa per redditi da lavoro dipendente del periodo 2010-2015. Eppure dal documento in esame si evincono come i risparmi ottenuti dalle ripetute manovre di spending review siano stati ingenti ed anche inaspettati, come evidenzieremo più avanti. Sembra, quindi, mancare - più che la disponibilità di risorse - la volontà politica di riconoscere il normale e dovuto adeguamento contrattuale ai dipendenti della Pubblica Amministrazione.

È possibile ritenere ciò per il fatto che sono stati undici i miliardi di spesa tagliati dal 2010 e riguardano la sola voce stipendi dei lavoratori. Gli obiettivi di finanza pubblica sono stati raggiunti esclusivamente con il contenimento della spesa per il personale con il blocco del turn over, il blocco delle progressioni di carriera, dei rinnovi contrattuali e con i tagli alla contrattazione decentrata.

Nel complesso si è registrato un calo di 110 mila unità lavorative, con ovvie conseguenze sul livello dei servizi resi alla comunità.

La spesa per acquisti di beni e servizi, invece, pur sbandierata come asse portante del piano di risparmi, è rimasta sostanzialmente invariata. Tutto è stato caricato, quindi, sulle spalle dei dipendenti pubblici dal 2009 ad oggi.

Tutto ciò emerge con chiarezza dai dati presentati dalla Corte dei Conti nella sua audizione di aprile sul Documento economico finanziario.

Nel Def si annota che nel 2015 la spesa per redditi da lavoro dipendente delle Amministrazioni pubbliche, infatti, ammonta a 161,75 miliardi, in calo dell'1,1% circa rispetto all'anno precedente. Questo dato si differenzia dalla stima contenuta nella Nota di aggiornamento del Def 2015 (164,868) per circa 3,12 miliardi. Tale differenza è dovuta, principalmente, al blocco totale delle assunzioni, sino al completo assorbimento del personale in esubero delle province, nei comparti del pubblico impiego interessati dal processo in esame.

Ma non solo! Ulteriori risparmi si sono avuti nel settore della scuola anche per effetto della tempistica inerente l'attuazione del piano delle assunzioni previste con la "buona scuola".

Nel 2016, però, le assunzioni nella scuola faranno risalire di due miliardi le uscite ma già nel 2017, con i vincoli al turn-over già previsti per legge, la tendenza dovrebbe ritornare al ribasso.

Nel settore del pubblico impiego, infatti, è stato rafforzato il blocco del turn over per il periodo 2016-2018 nella misura del 25% dei risparmi derivanti dalle cessazioni e sono state, inoltre, ridotte le risorse per il trattamento economico accessorio degli addetti.

Bisogna segnalare, quindi, che la diminuzione della spesa è risultata di gran lunga maggiore rispetto alle stime contenute nei diversi documenti programmatici. A fronte di un andamento a consuntivo nei primi tre anni di applicazione del decreto legge n. 78 del 2010 che ha evidenziato una riduzione per redditi pari rispettivamente all'1,7, al 2,1 ed allo 0,8 %, il Def 2011 stimava, per il medesimo periodo 2011-2013, una lieve diminuzione nel primo anno, un dato sostanzialmente stabile nel 2012 e addirittura un lieve aumento nel 2013. Il successivo Def 2012 segnalava un taglio della spesa per redditi nel triennio 2012-2014 con percentuali, peraltro, decisamente inferiori (quasi la metà) rispetto ai dati di consuntivo. Anche le previsioni del Def 2013, rivelatesi maggiormente attendibili per il 2014, ipotizzavano un incremento dell'1,1 a fronte di un dato, come detto, in diminuzione di analoga percentuale.

Le previsioni governative, in un'ottica prudenziale, potrebbero avere sovrastimato l'effetto derivante dalla mancata riproposizione nella legge di stabilità per il 2015 di alcune delle misure contenute nel decreto legge n. 78 del 2010, e in particolare di quella relativa al blocco della crescita dei trattamenti individuali.

Rispetto all'esercizio precedente, nel 2016 la spesa per redditi del pubblico impiego è stimata in crescita, nel quadro tendenziale, di 2,2 miliardi (+1,4 per cento). A fronte del permanere degli effetti delle misure riduttive del turn over, ulteriormente inasprite dalla legge di stabilità per il 2016, tale previsione sconta: il piano assunzione de "la buona scuola"; le somme necessarie al rinnovo dei contratti collettivi (300 milioni) e il bonus in favore del personale del Comparto sicurezza e difesa disposto dalla legge di stabilità per il 2016, a fronte delle esigenze di sicurezza nazionale, pur trattandosi di un beneficio straordinario non avente natura reddituale e non soggetto a tassazione né a contribuzione previdenziale.

Proprio il venir meno delle citate misure temporanee determinerà, per i due anni successivi, la ripresa del trend in diminuzione della spesa per redditi, per un importo peraltro, meno significativo nel 2018. La stessa spesa risulta, infatti, essere stimata in calo dello 0,8% nel 2017 e dello 0,2% nel 2018 e in lieve aumento (+0,2%) nel 2019. L'incremento previsto nel 2019 sarà dovuto al riconoscimento dell'indennità di vacanza contrattuale da calcolare con riferimento al trienni 2019-2021, come anticipazione degli importi che saranno attribuiti all'atto del rinnovo contrattuale.

Applicando le regole poste nell'accordo del 30 maggio 2009 sull'assetto delle relazioni sindacali nel pubblico impiego, le risorse per i rinnovi contrattuali avrebbero dovuto esser calcolate applicando alle sole componenti stipendiali della retribuzione un tasso di rivalutazione pari alla stima del previsto andamento dell'inflazione nel triennio secondo l'indice Ipca depurato dalle variazioni ascrivibili al prezzo dei prodotti energetici importati. Considerando anche gli oneri riflessi, si tratta di un importo stimabile, per le categorie di dipendenti a carico dal bilancio dello Stato, in 2,4 miliardi a regime. Da qui e dai 300 milioni stanziati è possibile presagire come non ci siano margini reali per la conclusione di un nuovo contratto per i dipendenti pubblici, special modo a legislazione vigente.

Bisognerà, secondo il Documento di Economia e Finanza, attendere, quanto agli stanziamenti aggiuntivi per i rinnovi, la successiva tornata contrattuale del 2019-2021 che apposterà 600 milioni destinati agli incrementi stipendiali degli Statali tutti.

Il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia, dopo la sentenza della Consulta, aveva promesso il rinnovo dei contratti con la legge di Stabilità 2016. Un annuncio rimasto tale. I mancati stanziamenti nel Def confermano quanto temuto, ossia l'irrilevanza ai fini dei rinnovi contrattuali della nuovo assetto dei comparti concluso dalle parti sociali, come prospettato dalla riforma Brunetta.

Proprio quest'ultima, di fatti, penalizza aprioristicamente un 25% del personale ai fini dell'erogazione del trattamento accessorio, per i noti motivi, e ciò, ancor più, necessità, da parte del Governo, uno stanziamento che possa permettere un effettivo adeguamento del livello salariale dei dipendenti pubblici, ormai stagnato al 2009.

Le risorse destinate dal Governo – stabilite, per lo più, ancor prima di sedersi ad un tavolo di trattativa - con l'ultima finanziaria rendono impossibile alle parti sociali concludere un accordo sui rinnovi contrattuali. Non perché l'aumento retributivo sarebbe inconsistente o nullo, ma piuttosto perché ci sarebbe, con tali disponibilità, una decurtazione del trattamento economico dei dipendenti pubblici. E ciò, perché, il preteso "aumento" risulterebbe inferiore all'importo dell'indennità di vacanza contrattuale attualmente percepita in assenza di rinnovo.

A questo punto è legittimo sostenere che il Governo non abbia, anche sulla scorta dei maggiori risparmi ricavati rispetto a quelli preventivati – come ribadito dalla Corte dei Conti -, alcuna intenzione di sedersi ad un tavolo per il rinnovo del contratto del pubblico impiego.

La definizione dei nuovi comparti aveva acceso una speranza per un nuovo stanziamento a tal fine, ma così non è stato. Del resto fu il Ministro della Funzione Pubblica Madia a dichiarare che gli 80€ valgono come un contratto rinnovato. Se così fosse, sarebbe palese l'avvilimento della professionalità delle risorse umane della Pubblica Amministrazione. Perché se da una parte la campagna mediatica contro i c.d. "fannulloni" non cede il passo, dall'altra, tuttavia, nulla si fa per saltare il guado in cui sono intrappolati i dipendenti pubblici dal 2009. Delle due l'una. Le parti sociali, come richiesto, si sono mosse, incontrando non poche difficoltà, per definire il nuovo quadro dei comparti ma ora sta al Governo sedersi al tavolo delle trattative.

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