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Il quadro economico del Piemonte

Il Piemonte è una delle regioni a più alta concentrazione industriale d'Europa, tanto che ancora oggi, nella grave crisi che ha colpito il sistema manifatturiero, più del 50% del PIL regionale dipende direttamente dalla domanda di beni finali prodotti dall'industria.

La nostra regione dispone di un sistema di imprese ad alta tecnologia e di terziario avanzato che svolgono un ruolo importante per l'economia locale.

Altrettanto si può dire del settore agro-alimentare, che può beneficiare del riconoscimento, attribuito dall'UNESCO, al territorio Langhe-Roero-Monferrato, quale patrimonio mondiale dell'umanità.

Non bisogna dimenticare, inoltre, il valore del lavoro pubblico che rappresenta una componente di primo piano del sistema piemontese, per il numero di occupati, per le risorse mobilitate e per le delicate funzioni svolte, che richiedono costanti processi di semplificazione, ammodernamento ed efficientizzazione al servizio dei cittadini e del sistema produttivo.

Il PIL in Piemonte, secondo l'ultimo rapporto Svimez, dal 2008 al 2014, è sceso del 12%, a fronte di una riduzione media nazionale dell'8,7%. L'aumento dello 0,3% fatto registrare lo scorso anno e la previsione di una limitata crescita per il 2015, dovuta principalmente, come nel resto del Paese, alla debolezza dell'Euro, al calo del prezzo del petrolio e alla manovra di quantitative easing della Banca Centrale Europea, non sono sufficienti per far dire che la crisi è alle spalle. Tra i pochi elementi positivi in essere c'è la ripresa delle esportazioni (+9,6% nel 1° semestre 2015 rispetto allo stesso periodo del 2014), che testimonia l'esistenza di un tessuto d'imprese in grado di competere, innovare e guadagnare spazi nel mercato globale.

Molto diversa è la condizione delle imprese che producono beni e servizi destinati al mercato nazionale, che continua a manifestare forti connotati di stagnazione.

La situazione occupazionale

Le conseguenze della grave crisi che ha colpito il nostro Paese, dalla fine del 2008, hanno prodotto in Piemonte una consistente perdita di posti di lavoro, un massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali, il peggioramento delle condizioni per migliaia di famiglie e la nascita di nuove povertà.

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Tra il 2008 e il 2014 gli occupati in Piemonte sono scesi di 88 mila unità e le persone in cerca di occupazione sono cresciute di 126 mila unità. Il tasso di disoccupazione, nel 2014, era all'11,3% a fronte di una media del Nord-Italia dell'8,6%. Nel secondo trimestre del 2015 si è registrato un miglioramento, poiché la disoccupazione è scesa al 10,2%, ma è necessario ricordare che rispetto al 2007 è superiore del 220%.

Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) rappresenta una delle note più dolenti. Nel 2014 si è attestato al 42,2% ed ha raggiunto il 49,9% in provincia di

Torino, il 50,3% in provincia di Novara ed il 46% in provincia di Biella, a fronte di una media delle regioni del Nord Italia del 32,7%.

Le persone in cerca di lavoro nel 2014 erano 226 mila, di queste ben 104 mila avevano una scolarità molto bassa (senza titolo, scuola elementare, licenza media),

112 mila avevano meno di 35 anni e 97 mila erano nella fascia d'età tra i 35 e i 54, quindi ancora lontani dal raggiungimento dei requisiti pensionistici.

Nei prossimi mesi il quadro rischia un ulteriore peggioramento per l'effetto combinato di alcuni fattori, alcuni già operanti, come la progressiva scomparsa di

ammortizzatori sociali e la prevista riduzione dei periodi di fruizione.

La Pubblica Amministrazione è alle prese con un prolungato blocco del turn-over e una massiccia esternalizzazione dei servizi, realizzata con appalti caratterizzati spesso da lavoro povero e precario. Gli affidamenti, le concessioni e forniture di beni e servizi, l'esecuzione di opere, devono essere regolati da gare ad evidenza pubblica, in grado di garantire trasparenza, legalità, qualità e tutela occupazionale.

L'emergenza sociale

La povertà relativa e quella assoluta, collegate alla perdita del lavoro e all'esaurimento degli ammortizzatori sociali, sono cresciute notevolmente in

Piemonte durante i sette anni di crisi. Secondo uno studio della Caritas, diffuso a novembre, il 14,1% dei residenti nell'area metropolitana torinese (circa 200.000

abitanti) si trova in condizioni di povertà, il 6% versa in povertà estrema. In Piemonte, l'indice di povertà raggiunge il 16,8% della popolazione complessiva.

Si tratta di cifre che, purtroppo, potrebbero peggiorare a causa del numero rilevante di lavoratori (circa 30.000) che, nei prossimi mesi, rischieranno di trovarsi senza alcun reddito, per la perdita del posto di lavoro, l'esaurimento degli ammortizzatori sociali e per l'impossibilità di agganciare il traguardo della pensione.

Dispiace dover constatare che, nel momento in cui aumenta il numero di cittadini che richiedono protezione sociale, diminuiscano i trasferimenti alle regioni e al sistema delle autonomie locali per il welfare.

Politiche attive e sostegno al reddito

Le buone politiche attive rivestono un'importanza crescente per mantenere i posti di lavoro, stabilizzare i giovani precari, favorire l'occupazione femminile, ricollocare chi ha perso o è a rischio di perdere il posto di lavoro.

Nella valutazione di possibili ricollocazioni, bisognerebbe distinguere tra soggetti anziani con possibilità di reinserimenti pressoché nulli e soggetti più giovani per i

quali è obbligatorio ricercare nuove opportunità occupazionali.

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Sarebbe opportuno, in attesa del raggiungimento dei requisiti previdenziali, assicurare ai primi un reddito minimo collegato allo svolgimento di attività socialmente utili o cantieri di lavoro, che necessitano di formazione limitata.

Per i lavoratori più giovani o, comunque, distanti dal traguardo pensionistico, è di grande importanza la predisposizione di efficaci piani di ricollocazione

personalizzati. Per le attività di formazione necessarie, si potrebbe erogare, in assenza di reddito dei partecipanti, un contributo regionale quale incentivo alla frequenza.

Per assorbire temporaneamente almeno una parte delle migliaia di persone disoccupate e senza ammortizzatori, sarebbe necessario utilizzare i Fondi Europei

(FSE, FESR, FSR) per favorire progetti di lavoro, predisposti dagli Enti Locali negli ambiti di maggiore urgenza (dissesto idro-geologico, recupero dell'edilizia pubblica e risparmio energetico, cura dell'ambiente).

Le leve su cui agire per far funzionare le politiche attive sono rappresentate dalla "buona formazione" e da un efficace sistema di "servizi per l'impiego", basato

sull'integrazione e sulla sussidiarietà.

E' urgente progettare e attuare percorsi integrati di istruzione e formazione professionale, che perseguano l'obiettivo di assicurare a tutti una solida formazione

culturale di base, per contrastare il basso livello di scolarizzazione, ma allo stesso tempo sviluppare qualificate competenze professionali, coerenti con le esigenze del mondo del lavoro. Come più volte richiesto dal Sindacato, sarebbe necessario che la Regione si facesse carico di promuovere, coinvolgendo le parti sociali, un serio censimento volto ad individuare le figure professionali realmente carenti nel mercato del lavoro piemontese. I percorsi di formazione, aggiornamento e riqualificazione professionale dei lavoratori potrebbero così essere finalizzati alla preparazione di tali profili.

E', inoltre, importante qualificare e supportare il personale del sistema regionale della formazione, e quello dei Centri per l'Impiego, che si trovano ad operare sempre più a stretto contatto, con pochi strumenti operativi e insufficienti risorse economiche e di organico.

Serve, insomma, un intervento che rilanci e qualifichi l'intero settore, dando agli operatori dei servizi per l'impiego strumenti effettivi di reale profilazione dei

soggetti, limitando al massimo le dannose standardizzazioni, se non richieste per esigenze di uniformità del sistema. Ogni attività di intermediazione deve essere

"indagata" approfonditamente per valutare, oltre agli esiti occupazionali immediati, i livelli di qualità e stabilità dell'occupazione eventualmente creata.

Ricordiamo che oggi, in Italia, i Servizi per l'Impiego, pubblici e privati, intermediano solo il 5% delle offerte di lavoro e che per tali Servizi si spendono 500

milioni di Euro, contro i 6 miliardi della Francia e i 12 della Germania. Gli addetti sono 8.000 in Italia, 70.000 in Francia e 90.000 in Germania.

Aiutare la ripresa in Piemonte

Le difficoltà economiche ed occupazionali si inseriscono in un contesto regionale contrassegnato dalla carenza di moderne reti infrastrutturali e della logistica, dalla

scarsa diffusione delle tecnologie digitali (a partire dalla banda ultra-larga), da 4 processi autorizzativi spesso lenti e macchinosi, che non invogliano a intraprendere

insediamenti produttivi nel territorio piemontese. Bisogna considerare che, oltre ai problemi e ai ritardi regionali, pesano negativamente, come macigni, il livello di

tassazione sul lavoro e i costi dell'energia.

Per lo sviluppo, sono necessari investimenti pubblici e privati da indirizzare a: ricerca e innovazione nella sanità e biotecnologie, risparmio energetico, assetto idro-geologico, bonifiche ambientali, trasporti e logistica, reti digitali. In tal modo, si potrebbe realizzare un volano importante per la ripresa dell'economia e dell'occupazione.

In funzione di ciò, la programmazione 2014/2020 dei Fondi Europei deve introdurre discontinuità rispetto al settennio precedente, perseguendo criteri di selettività dei progetti.

Per sostenere un processo di crescita credibile e duraturo è necessario, in primo luogo, utilizzare di più, con maggiore efficacia e velocità i fondi nazionali ed europei.

Il Piemonte presenta una pesante condizione debitoria delle finanze regionali, per cui l'utilizzo dei Fondi comunitari rappresenta la risorsa economica migliore di cui

disporre.

Fare una vera politica industriale con i fondi strutturali vuol dire darsi strumenti efficaci per promuovere i nostri prodotti nei mercati internazionali, favorire la

crescita dimensionale delle imprese e la lotta alle nuove povertà. Si tratta, quindi, di perseguire gli obiettivi di uno sviluppo intelligente, sostenibile e inclusivo.

E' importante, inoltre, valorizzare le numerose e qualificate risorse del sapere presenti nella nostra regione. Il Polo universitario, ad esempio, costituisce un terreno

favorevole all'innovazione e alla diffusione della conoscenza. L'incubatore di Start Up del Politecnico di Torino, che favorisce la nascita di imprese ad elevata

innovazione tecnologica, rappresenta la punta d'eccellenza, in questo campo, non solo a livello nazionale ma europeo.

Un'altra ipotesi concreta è lavorare su una "green economy" pensata come opportunità trasversale per tutti i settori produttivi.

Investire nel volto "verde" della nostra economia vuol dire adoperarsi per creare un contesto produttivo più competitivo ed innovativo, con conseguenze positive

sull'occupazione e sulla qualità ambientale.

Sono, inoltre, necessarie azioni volte a favorire l'erogazione di prestiti bancari, in grado di supportare le imprese anche nei percorsi d'internazionalizzazione e, in

aggiunta, azioni concrete per la velocizzazione e la semplificazione dei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione.

Dato l'elevato numero di Piccole e Medie Imprese presenti nella nostra regione, i risultati positivi delle esportazioni evidenziano la necessità di favorire e diffondere

reti associative che facilitino l'internazionalizzazione, migliorando le capacità di innovazione e competizione nel mercato globale.

La lotta all'evasione fiscale, utile a perseguire legalità e trasparenza, potrebbe recuperare risorse consistenti da mettere a disposizione della crescita.

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Fare sistema

Nella difficile fase in corso da oltre sette anni, è necessario un progetto che unisca tutte le azioni, finalizzandole alla competitività del "Sistema Piemonte", attraverso la realizzazione di un confronto permanente tra Istituzioni e forze sociali, determinanti per un effetto moltiplicatore delle risorse investite.

Il Piemonte potrebbe, così essere, un importante e innovativo laboratorio, in grado di innescare il motore dello sviluppo economico e di mantenere la coesione sociale.

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