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E' ormai nota a tutti l'incessante evoluzione normativa del lavoro accessorio che ha prodotto negli anni l'enorme estensione del suo campo di applicazione sia dal punto di vista soggettivo (tipologia di prestatori di lavoro e committenti) che oggettivo (attività d'impiego); ci esentiamo quindi, avendo già riepilogato questo percorso nella precedente audizione, dal ripercorrerla evitando di elencare quali e quanti interventi legislativi sono intervenuti fino ad oggi a determinare l'incessante aumento dei voucher venduti.

Ma non vogliamo porre un problema di incremento "quantitativo" dei voucher - seppur esistente, vistoso e che andrebbe monitorato con attenzione soprattutto per il vistoso gap annuale tra voucher venduti e riscossi - bensì di ciò che, "qualitativamente", si potrebbe celare dietro tale aumento.

Se il buono-lavoro fosse stato e venisse realmente utilizzato per prestazioni di lavoro "occasionali" ed "accessorie", il problema voucher non si sarebbe posto. Ma quando la vendita di voucher, come documentato dai dati che l'Inps pubblica, è enormemente più alta in settori quali il commercio, turismo e servizi (e comunque, il 60% dei voucher sono utilizzati da imprese con dipendenti), piuttosto che per attività d'impiego svolte in ambito privato/familiare, il rischio che la prestazione di lavoro effettuata rientri nell'oggetto sociale dell'azienda, è molto alto. E ciò fa venir meno, nei fatti, il concetto di "accessorietà" della prestazione.

L'attuale normativa permette, inoltre, che l'unico requisito per applicare tale istituto sia quello di natura economica: il compenso annuale del prestatore di lavoro che, stando alle ultime modifiche apportate dal d.lgs 81/2015, non può superare € 7000 netti annui indipendentemente dal numero dei committenti.

Da tale scelta del legislatore, deriva la completa scomparsa della "occasionalità" della prestazione, rendendo pienamente legittimo l'utilizzo di voucher per prestazioni svolte "senza soluzione di continuità" per giorni e mesi fino al raggiungimento del requisito economico di cui sopra.  In pratica il legislatore ha reso maggiormente appetibile il lavoro accessorio rispetto ad una assunzione di natura subordinata.

E' un controsenso, se non una ipocrisia intellettuale, sostenere, a fronte di cospicue risorse stanziate dalla fiscalità generale per incentivare il contratto a tempo indeterminato e contrastare la cattiva flessibilità, che, nel contempo, si permetta un uso (e abuso) indiscriminato del lavoro accessorio.

Delle due l'una. La politica, tutta, deve aver ben chiaro quale è il mercato del lavoro che vuole per i nostri giovani e meno giovani.

E' da tali analisi e riflessioni che partiamo per condividere l'intento restrittivo di molte delle proposte di legge che formano oggetto dell'odierna audizione, condividendo con le stesse il ritorno alla primogenita regolamentazione del 2003 la cui conditio sine qua non per svolgere lavoro con voucher risiedeva nella "occasionalità" ed "accessorietà" della prestazione ed a ben delineati confini soggettivi ed oggettivi di applicazione.

Auspichiamo, quindi, che gli interventi correttivi sul lavoro accessorio mirino ad un ritorno all'originaria normativa in cui, essendo chiara la finalità, erano altrettanto confinati, entro certi limiti, i target di prestatori di lavoro, committenti e attività d'impiego.

Laddove si propendesse per tale ed ottimale restringimento dell'istituto, proponiamo ulteriori correttivi:

prevedere la riduzione da € 7000 a € 2000 del tetto annuo di compenso percepibile dal prestatore di lavoro indipendentemente dal numero dei committenti;

per beneficiari di prestazioni di integrazioni e sostegno al reddito resta il tetto di 3.000 euro.

introdurre, ex novo, un tetto massimo annuo di compenso erogabile da parte del committente indipendentemente dal numero dei prestatori di lavoro che non dovrebbe superare € 2000 l'anno con un massimo di € 500 annue per singolo prestatore.

Crediamo che se la finalità del lavoro accessorio, oggi come ieri, si vuole che resti il contrasto al lavoro nero in alcune sacche di attività dove da sempre implacabilmente si annida, non si può che restringerne fortemente il suo campo di applicazione sia soggettivo, oggettivo ed economico.

Se invece, l'intento è quello di farlo divenire, come nei fatti già sta accadendo in alcuni settori quali turismo, servizi e commercio, un "sostituto" mascherato di rapporti di lavoro subordinati, grazie ai vigenti elementi concorrenziali che lo rendono notevolmente appetibile (esenzione fiscale, bassissimi costi contributivi ed assicurativi), allora le cose cambiano, ma occorre che ci si assuma anche la responsabilità delle forti conseguenze che ciò produrrà in tema di assenza di tutele e diritti per il lavoratore (che verrebbero viceversa garantite dalla contrattazione collettiva di settore) e di minori entrate fiscali nelle casse dello Stato.

In forza di questa critica riflessione, ma consapevoli che il voucher possa essere uno strumento utile anche ad arginare il rischio di lavoro nero in un mercato del lavoro in continua trasformazione, anche tecnologica, in cui esistono "vulnus" regolamentari di alcune prestazioni ancora non definite da un punto di vista normativo, quali ad esempio i lavoretti nella c.d Gig-economy, la nostra proposta è quella di un utilizzo del lavoro accessorio solo in presenza di  "casi del tutto eccezionali e meramente temporanei", anche nei settori caratterizzati da attività d'impresa, ma con forti paletti normativi.

Proponiamo, a tal fine, le seguenti ipotesi di correttivi :

esclusione totale del settore agricolo ;

divieto di utilizzo in appalti per opere e servizi (compresa la somministrazione);

che il singolo voucher corrisponda ad un minimo di 8 ore lavorate;

per il committente, un tetto massimo di 10 giornate l'anno di utilizzo dei voucher, indipendentemente dal numero dei prestatori;

che il singolo committente non possa avvalersi dello stesso prestatore di lavoro per più di 2 giornate di lavoro consecutive;

Strettamente collegata a tale ipotesi di modifica, apportare un correttivo alla disciplina sul lavoro a tempo determinato, nello specifico all'art. 29, comma 2, lett. b) del d.lgs 81/2015, estendendolo a tutti i settori (oltre al turismo ed ai pubblici esercizi) delegando la regolazione alla contrattazione collettiva nazionale.

Cogliamo, inoltre, l'occasione per suggerire un ulteriore correttivo normativo indipendentemente dalla strada che si intende percorre sul lavoro accessorio. Crediamo che l'esiguità della contribuzione INPS per ogni  voucher (pari, attualmente, al 13%), debba vedere, ad importo invariato, una diversa destinazione:  prestazioni sociali piuttosto che ai fini pensionistici.

Inoltre, riteniamo che l'aggio dell'Inps, attualmente pari al 5%, debba essere ridotto ad un 2% destinando il restante ad un aumento delle altre due contribuzioni (per prestazioni sociali e assicurative).

Non si può sottovalutare rispetto alla corretta applicazione dell'istituto, il forte ruolo di vigilante che dovrà avere l'Ispettorato Nazionale del Lavoro al fine di contrastare, anche attraverso le necessarie ed esistenti sanzioni, gli eventuali abusi che, nonostante le modifiche, si potrebbero palesare.

L'efficienza e l'efficacia delle ispezioni potranno essere garantite anche grazie ad un sistema, rinnovato, di comunicazione della prestazione accessoria che renda la stessa veloce, tracciabile e con una connotazione di pluriefficacia nei confronti di tutti gli Enti della pubblica amministrazione preposti alla conoscenza  della stessa.

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