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Lunedì, 29 Febbraio 2016 10:58

Rapporto UIL sui voucher

In allegato il rapporto UIL sui voucher (buoni lavoro).

Nello studio, oltre a un'analisi quantitativa e qualitativa, troverete una comparazione anno per anno sui voucher venduti ed una specifica analisi per le aree produttive e per i singoli territori provinciali e regionali.

Introduzione

Quando nel 2003 fu introdotto nel nostro ordinamento il "lavoro occasionale accessorio", retribuito attraverso i "buoni lavoro" (voucher), in pochi contestarono la volontà del legislatore di tentare di regolare, in forma semplice e non burocratica, prestazioni di lavoro oggettivamente residuali e, appunto, occasionali. Ci si rivolgeva, in particolare, a quelle prestazioni brevi, saltuarie, accessorie, discontinue per le quali era, e purtroppo in gran parte ancora oggi è, in uso il pagamento in nero: piccoli lavori domestici, giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi, monumenti, insegnamento privato supplementare (ripetizioni), consegna porta a porta, che spesso non vedevano forme "regolate" e "regolari" di lavoro.

Si trattava, essenzialmente, di quelle attività (purtroppo non da sole) dove si potevano più facilmente annidare sacche di lavoro nero.

Ed era questa la finalità principale per la quale nacque questo istituto: andare a coprire quella fetta di mercato occupazionale "nascosta" che sarebbe potuta rimanere tale anche in presenza delle nuove forme contrattuali flessibili nate nello stesso anno (co.co.pro., lavoro a chiamata, contratti di inserimento, somministrazione, etc).

Ma cosa è il "voucher"? Potremmo definirlo un ticket-lavoro, con un valore nominale ed orario di 10 euro lorde (comprensive di un 13% di contribuzione previdenziale alla gestione separata Inps, una copertura assicurativa Inail del 7%, ed un contributo per il concessionario del servizio pari al 5% da destinare all'Inps), e di cui 7,50 euro nette vanno al prestatore di lavoro.

Ad onor del vero, occorre dire che fino al 2012, il valore del buono lavoro era esclusivamente nominale (e non orario). La auspicata novità che ad 1 ora di lavoro corrispondesse 1 voucher (salvo la possibilità del committente di retribuire in misura maggiore il prestatore di lavoro), risale alla Riforma Lavoro Fornero (L.92).

Cade, con la Riforma Fornero, il riferimento al concetto di "accessorietà ed occasionalità" della prestazione da svolgere con i voucher, restando quale unico limite quello economico di 5 mila euro nette l'anno, che, da giugno 2015, sono state innalzate a 7 mila euro (intervento di modifica introdotto dal d.lgs 81/15 attuativo del Jobs Act).

Ma chi è il destinatario di tale tetto economico? Il solo prestatore di lavoro che, indipendentemente dal numero di committenti, non potrà percepire un importo maggiore.

Ed il committente? Il committente, da sempre, non ha alcun tetto economico annuo. Gli unici limiti economici sono legati al singolo prestatore di lavoro: il committente non può erogare più di 7 mila euro netti l'anno al "singolo" prestatore di lavoro, ma se il committente è un imprenditore commerciale o un professionista, non potrà retribuire il singolo lavoratore per più di 2 mila euro netti annui, e se si tratta di lavoratore percettore di sostegno al reddito non potrà erogare più di 3 mila euro netti l'anno.

Ciò significa, semplicemente, che il committente potrà avvalersi di più voucheristi stando attendo a non sforare i suddetti tetti per singolo prestatore di lavoro. Nulla di più.

Ma in questa disamina sui voucher, abbiamo saltato un passaggio fondamentale: il lavoro occasionale accessorio non è una tipologia contrattuale, non prevede la dettagliata comunicazione obbligatoria di assunzione al Servizio per l'impiego (tipica per gran parte degli avviamenti al lavoro),  non da diritto a malattia,  maternità, assegni familiari, trattamento di fine rapporto, e tutto ciò che è connesso ad un "vero" rapporto di lavoro in termini di diritti e tutele. Ma c'è di più: il compenso percepito o erogato, è esente da imposizione fiscale per committente e lavoratore. Quindi...NO IRPEF, NO IRAP, NO IRES.

E' bene ricordare che i voucher non solo NON consentono un regolare rapporto di lavoro ma, come la  realtà ci sta dimostrando, anziché ridurre un fenomeno diffuso e patologicamente presente nel nostro mercato del lavoro, come il lavoro irregolare o sommerso, rischiano, indirettamente di alimentarlo (recenti studi confermano come  la quota di lavoro nero o fortemente irregolare sia in aumento). Cosa impedisce, infatti, ad un datore di lavoro di acquistare dei buoni-lavoro e poi, verificato che non sono "arrivati" gli ispettori, consegnarne solo una parte rispetto alle ore lavorate o, addirittura, riconsegnarli (ottenendo addirittura indietro l'importo dei voucher non consumati) o tenerli per altra occasione?

Cosa impedisce ad un titolare di ristorante anziché assumere, magari con il flessibile  lavoro a chiamata, pagare con i voucher allettando anche lo stesso lavoratore con il "non pagamento" delle tasse sull'importo percepito?

Bene, ed ora vediamo come nel tempo, legge dopo legge, circolare dopo circolare, interpello dopo interpello, la natura e la finalità originaria di questo istituto sia stata profondamente modificata, ed abbia preso il "sopravvento", la prassi, di un utilizzo distorto di questo istituto che ha finito in buona parte per sostituire, in maniera sì legale ma alquanto "furbesca", rapporti di lavoro subordinato che vedono nella contrattazione collettiva tutele e garanzie che il lavoro accessorio non conferisce a coloro che lavorano con i buoni-lavoro.

Oggi, sostanzialmente, tutte le imprese commerciali, industriali, dei servizi, imprenditori agricoli, soggetti non imprenditori (famiglie, ad esempio, per servizi di cura e lavori domestici), ma anche enti senza fine di lucro, associazioni sportive, committenti pubblici (solo a titolo esemplificativo, tutte le amministrazioni dello Stato comprese Regioni ed Enti Locali), possono utilizzare i voucher per "retribuire" prestatori di lavoro.

Soggetti, questi ultimi, che nell'originaria versione normativa rientravano nella fascia di persone deboli e a rischio di esclusione sociale oppure non ancora entrate nel mercato del lavoro o in procinto di uscirne (quali i disoccupati da almeno 1 anno, disabili e soggetti in comunità di recupero, lavoratori extracomunitari, casalinghe, studenti, pensionati),  ma che oggi, grazie alla implacabile evoluzione normativa dell'istituto, ricomprendono qualunque status occupazionale (inoccupato, disoccupato, percettore di sostegno al reddito, occupato sia autonomo che dipendente, pensionato, giovane studente).

Si è assistito, quindi, nel corso del tempo, all'eliminazione di qualunque paletto soggettivo ed oggettivo, con un unico limite di utilizzo che è quello "economico" di 7 mila euro netti l'anno a prestatore di lavoro.

Questo snaturamento si manifesta immediatamente analizzando l'evoluzione quantitativa e soprattutto qualitativa. Infatti si è passati dalla prevalenza dell'agricoltura e delle manifestazioni sportive come settori di maggior utilizzo nei primi anni (2008, 2009) al prevalente uso nel 2015, nei settori del commercio, del turismo e dei servizi,  in tutte le Regioni. E ciò sembra indicare come questo istituto abbia attaccato, sostituendosi ad esse, forme di lavoro flessibili ma regolate come il lavoro stagionale, o  a chiamata.

Nel dettaglio, questo Studio analizza l'evoluzione quantitativa dei voucher dal 2008 (535 mila voucher venduti) al 2015 (115 milioni circa) dimostrando come la costante crescita (2,7 mln. nel 2009; 9,7 mln. nel 2010; 15,3 mln. nel 2011; 23,8 mln. nel 2012; 40,8 mln. nel 2013; 69,2 mln. nel 2014 e oltre 115 mln. nel 2015) sia strettamente legata alle modifiche normative che, come vedremo, hanno dilatato, anno dopo anno, il campo di applicazione di questo istituto (L. 113/08, L.3372009; L. 102/2009; L. Finanziaria 2010; L.10/2011; L.92/12; L.99/2013 e D.lgs 81/15-Jobs Act).

Una volontà, quella dei legislatori, di incentivare e facilitare l'utilizzo del "buono lavoro". Se i sostenitori del voucher identificano in questo strumento un argine al lavoro nero ed irregolare, dall'altra ciò sembra porsi in contrasto con l'espandersi dell'utilizzo dei voucher non in quelle attività a maggior rischio di sommerso, bensì in quei settori produttivi regolati contrattualmente e previdenzialmente ed in Regioni caratterizzate da una certa vivacità produttiva.

Nel 2015, infatti, le Regioni più "voucherizzate" sono state la Lombardia (21 mln. voucher venduti), il Veneto (15,2 mln.), Emilia Romagna (14,3 mln.), Piemonte (9,4 mln.), mentre nel Mezzogiorno si colloca al primo posto la Puglia (5,4 mln.) come Regione che più utilizza lo strumento.

Interessante, come già accennato, è anche, e soprattutto, l'evoluzione qualitativa del fenomeno con riferimento, in particolare, alle attività in cui vengono maggiormente utilizzati. Emerge come ormai sia prevalente, in senso lato, il terziario che, tra Commercio, Turismo e Servizi rappresenta quasi il 50% dei buoni-lavoro. I settori che dovevano essere "protagonisti" (quasi assoluti), come giardinaggio, lavoro domestico, attività sportive, coprono meno del 15% dei buoni venduti.

Dal 2008 al 2015, secondo nostre stime, sono stati venduti quasi 278 milioni di voucher per un importo complessivo di circa 2,8 miliardi.

Considerando che i voucher riscossi dai voucheristi sono stati in tale periodo circa 256 milioni, risultano non corrisposti agli stessi, 220 milioni di euro in voucher (circa 22 milioni di voucher).

Il primo punto di domanda è quindi: c'è un monitoraggio sul perché sono stati restituiti ai committenti 220 milioni di euro di voucher "non pagati" dal 2008 al 2015?

Purtroppo, dalla nascita di questo istituto il problema principale è sempre lo stesso: la "non tracciabilità" per data ed orario di lavoro del voucher e, conseguentemente, della corretta corrispondenza tra durata della prestazione e la retribuzione.

Al netto della nostra stima condotta sul 2015, prendendo a riferimento i dati forniti dall'Inps, interessante è analizzare come dal 2008 al 2014 il numero di lavoratori interessati, sia passato dai circa 25 mila voucheristi ad oltre 1 milione.

Inoltre, se si analizza la distribuzione dei lavoratori interessati per classi di età, si può facilmente notare come si sia passati da un maggior utilizzo del voucher per gli over 50 (nel 2009 1 voucherista su 2 aveva almeno 50 anni) ad una prevalenza nella fascia di età under 49 anni, che nel 2014, assorbe l'80% di voucheristi.

Il dato sui giovani (oltre il 40% dei voucheristi, nel 2014, ha fino a 29 anni) dovrebbe far riflettere alla luce del non successo sia di Garanzia Giovani che del contratto di Apprendistato, quest'ultimo in continua decrescita.

Sembrerebbe, inoltre, che il voucherista sia tipicamente un lavoratore comunitario (il 92% degli interessati nel 2014) e questo dato confermerebbe come lo strumento non sembra sia utilizzato per far emergere lavoro "informale" nè, tantomeno, per regolarizzare alcune attività (assistenza familiare, piccole manutenzioni) dove è significativamente presente manodopera immigrata.

La nostra elaborazione porta a stimare, inoltre, che nel corso del 2015, 1.695.374 sono coloro che hanno avuto come forma di retribuzione almeno 1 voucher. Dato che, naturalmente, comprende tutte le variegate situazioni, ma che colpisce se si pensa che su un numero complessivo di occupati di oltre 22 milioni di lavoratori, circa 8 su 100 sono stati retribuiti con almeno 1 voucher; che questa quota aumenta se rapportata agli oltre 17 milioni di occupati dipendenti (10 su 100) e, addirittura, aumenta esponenzialmente sulla platea di oltre 2,2 milioni di lavoratori temporanei o/e stagionali subordinati (77 su 100).

Ma quanto è stato il compenso netto medio annuo percepito dal singolo prestatore di lavoro con voucher nel corso del 2015?

Proviamo a stimarlo partendo dai 114.921.574 voucher venduti nell'anno 2015 (dato fornito dall'Inps) e togliendo il 7,4% (stessa percentuale di riduzione tra voucher venduti e riscossi nel corso del 2014). Otteniamo così una stima di 106.500.000 voucher riscossi, pari ad un monte retributivo complessivo di € 798.750.000 (importo netto annuo), che equivale a 471 euro netti percepiti dal singolo prestatore di lavoro (stesso importo percepito nel corso del 2014).

Abbiamo inoltre condotto una stima sui voucher venduti a livello provinciale nel 2015. In pole-position c'è Milano con 7,3 milioni di buoni-lavoro venduti, seguita da Torino con 4,5 milioni di voucher e Roma con 3,8 milioni. Continuando la classifica provinciale dei territori più voucherizzati, troviamo Verona (circa 3,3 milioni di voucher), Brescia (3,2 mln.), Bolzano (3,2 mln.), Bologna (3 mln.), Treviso (2,8 mln), Padova (circa 2,7 mln.), Modena e Venezia (oltre 2,6 mln.).

Le province "meno voucherizzate" sono state invece, Enna (circa 85 mila voucher venduti), Crotone (circa 100 mila voucher), Vibo Valentia (102 mila voucher), Caltanissetta (118 mila), Isernia (161 mila), Rieti (circa 187 mila), Agrigento (circa 195 mila), Ragusa (225 mila), Siracusa (257 mila) e Trapani (260 mila circa).

Tra le  province che maggiormente utilizzano il voucher, vi sono quelle dove vi è una  spiccata "stagionalità"  del lavoro. E' un caso? Si sta forse realizzando un "insano" connubio tra voucher e lavoro stagionale? Dall'altra, molte delle province che meno utilizzano i voucher, sono quelle dove è più alta la disoccupazione ed...il lavoro nero. Anche questo un caso?

Quale che siano le risposte, la soluzione trovata con il Jobs Act di innalzare il tetto a 7 mila euro, non farà altro che cannibalizzare sempre di più potenziali rapporti di lavoro subordinato attraverso l'utilizzo di questo poco tutelante (per il lavoratore) istituto che nel tempo produrrà, inevitabilmente, pensioni minime,  instabilità lavorativa, bassa professionalità, e, soprattutto, un "buco fiscale" nelle casse dello Stato ed un indebolimento del sistema di sostegno al reddito (i voucher sono esentati dal contributo per indennità disoccupazione e non danno diritto ad essa).

E' chiaro che se il trend di crescita del lavoro accessorio continuerà con queste percentuali di aumento, la politica in primis, dovrebbe porsi il problema di come rimediare ai futuri danni socio-occupazionali e di scarsa crescita che produrrà il massiccio ed incontrollato utilizzo del voucher.

La UIL, attraverso questo Studio, cerca di dimostrare come questa crescita costante e rapida si concretizzi. Vogliamo contribuire non con slogan, ma con una attenta analisi ad una riflessione politica, il Governo, il legislatore e le stesse imprese al fine di ragionare come meglio regolare uno strumento che, se portato fuori controllo (come sembra stia avvenendo), rischia di alterare ogni equilibrio tra necessaria flessibilità, per le imprese, e tutele essenziali e minime per chi lavora.

Il Governo ha una occasione d'oro: la revisione dei decreti attuativi del Jobs Act che deve fare entro un anno dall'entrata in vigore della Legge. Ebbene, si potrebbe intervenire su più aspetti: tracciabilità "vera" dei buoni-lavoro, comunicazione precisa di inizio e fine del lavoro, riduzione del tetto massimo di utilizzo da parte delle imprese, esclusione di alcuni settori che già oggi hanno strumenti ultra flessibili in tema di rapporti di lavoro.

DOCUMENTI COMPLETI IN ALLEGATO.

Guglielmo Loy  - Segretario Confederale UIL

Febbraio 2016

Studio curato da Antonella P.

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