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Mercoledì, 18 Luglio 2018 10:09

Prime osservazioni UIL sul Decreto Dignità del Governo

Il "Pacchetto Lavoro" contenuto nel Decreto Dignità (Decreto Legge 87/2018 entrato in vigore il 14 luglio u.s.), modifica alcuni istituti giuridici con la finalità, perseguita dal Governo, di contrastare la precarietà del mondo del lavoro.

Gli istituti su cui si sono apportate novità sono: il contratto a tempo determinato, la somministrazione, l'indennità economica in caso di licenziamento illegittimo.

Una nostra prima considerazione sul "Pacchetto Lavoro" è stata quella di vedere nelle modifiche apportate, un primo passo verso un miglior "equilibrio" tra le due Parti del contratto di lavoro, alzando leggermente, rispetto al recente passato, l'asticella della certezza del diritto per la parte più debole del rapporto di lavoro: il dipendente.

Avremmo apprezzato un coinvolgimento delle Parti Sociali nella fase di costruzione del percorso di modifica, per il semplice fatto che il mercato del lavoro è un coacervo di sfaccettuature ed esigenze settoriali non sempre omogeneizzabili in limiti, tetti, percentuali standardizzate da una legge nazionale, come ha dimostrato il passato. Troppe volte il legislatore si è anteposto, in maniera anche sostitutiva, all'autonomia collettiva, dettando regole ed imponendo paletti non sempre adeguati alle variegate esigenze dei molteplici settori produttivi su cui le norme andavano ad incidere. Lo dimostra il continuo ed implacabile rimettere mano alla normativa lavoristica. Crediamo che la "concertazione" sia ancora una buona prassi da perseguire per il bene del nostro sistema produttivo ed occupazionale.

Sarà nostra cura, quindi, seguire l'excursus dell'iter di conversione con eventuali proposte di modifica da sottoporre alle due Camere.

Riteniamo, inoltre, che le novità non saranno, da sole, sufficienti a scardinare quella cattiva flessibilità che prima di celarsi negli abusi ed usi distorti delle due tipologie contrattuali che si intendono correggere, si annidano in altre forme di lavoro non governate e non regolamentate dalla contrattazione collettiva dove continua ad essere troppo labile il confine tra autonomia e subordinazione (lavori su e attraverso piattaforme digitali, collaborazioni) e tra istituti non contrattuali e contratti subordinati (come nel caso dei tirocini extracurriculari). Il tutto a scapito delle tutele e dei diritti della parte più debole del rapporto di lavoro.

Scoraggiare la precarietà sul lavoro si può ottenere con un mix di misure semplici ma efficaci: rendendo strutturale nel tempo la riduzione del costo del lavoro sui contratti a tempo indeterminato; aumentando contestualmente il costo dei contratti a termine (tutti) che sarebbe buona cosa destinare nelle tasche dei lavoratori quale "compenso" per situazioni lavorative discontinue e temporanee (creare un forte gap di costi tra contratti a termine e contratti standard, di per sé già sarebbe sufficiente a promuovere i contratti a tempo indeterminato); c'è inoltre la necessità di far finalmente funzionare il sistema dell'incontro domanda-offerta di lavoro attraverso una maggiore efficienza ed efficacia dei Servizi per l'Impiego, garantendo fasi di transizione lavorativa meno incerte ed insicure; diventa sempre più indispensabile, inoltre, l'ausilio che può fornire la formazione attuata, anche, attraverso i Fondi Interprofessionali, una formazione che dovrebbe essere menzionata tra i nuovi "diritti" del lavoratore.

Si analizzano, ora, le novità del Pacchetto Lavoro contenute nel Decreto Dignità:

CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO.

Con una longevità che dura da più di 50 anni, il contratto a tempo determinato è, forse, tra tutte le tipologie contrattuali quella che ha subito i maggiori interventi legislativi di modifica.

La prima legge sul tempo determinato risale al 1962, quando le uniche tipologie contrattuali di natura subordinata esistenti erano il contratto di formazione e lavoro ed il contratto a tempo indeterminato.

A quella originaria legge, sono succeduti innumerevoli correttivi legislativi primo tra tutti il d.lgs.368/2001 di recepimento della Direttiva 1999/70/UE, che ha subito 12 interventi modificativi fino a giungere alle più recenti novità contenute nel d.lgs 81/2015 (uno degli 8 decreti attuativi del Jobs Act).

Occorre ammetterlo per onestà intellettuale: la continua modifica del diritto del lavoro, non conferisce certezza allo stesso, creando quindi situazioni di incertezza applicativa anche nei confronti di chi deve assumere. C'è poi un problema di chiarezza della norma, che troppo spesso si è mostrata di difficile e dubbia interpretazione. Dottrina e giurisprudenza sono intervenute a più riprese sul tema del contratto a tempo determinato per dirimere dubbi interpretativi connessi all'istituto e per risolvere le molteplici controversie lavoristiche che ne sono scaturite, giungendo in molti casi fino alla Corte di Giustizia Europea.

Al termine di questo preambolo che ricostruisce, seppur sommariamente, l'evoluzione legislativa fino ad oggi succedutasi su questa tipologia contrattuale, oggi il Decreto Dignità reinterviene su questo istituto con alcuni correttivi:

REINTRODUZIONE DELLE CAUSALI

Il Pacchetto Lavoro contenuto nel Decreto Dignità, reintroduce, dopo altalenanti fasi di inserimento ed eliminazione (questa ultima avvenuta dapprima in maniera più attenuata con la Legge di riforma del lavoro del 2012 e, poi proseguita, in maniera totalizzante con il Decreto Poletti e confermata dal Jobs Act), le "causali" cioè i motivi oggettivi che giustificano il ricorso alla temporaneità del contratto.

Le causali menzionate nel Pacchetto Lavoro sono molto simili a quelle richiamate nella primigenia Legge del 1962:

esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero ad esigenze sostitutive di altri lavoratori

esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria

Non vengono richiamate nell'elenco delle causali, le attività caratterizzate dalla stagionalità, in quanto la causalità è insita nella stessa tipologia di attività. Quindi continuerà a trovare applicazione la vigente disciplina in tema di stagionalità e l'elenco delle attività di cui al DPR 1525/1963 e quelle stabilite dalla contrattazione collettiva (anche aziendale).

Il ritorno delle causali è una novità che, come UIL, condividiamo, poiché è un requisito che tende a riaffermare il criterio di differenziazione finalistica del contratto a tempo determinato rispetto al contratto standard: il contratto a termine costituisce l'"eccezione" rispetto alla forma comune del contratto che resta il contratto a tempo indeterminato. Eccezione che trova il suo fondamento proprio nella temporaneità/scadenza del rapporto di lavoro stesso.

Riteniamo che sul tema delle causali, vada apportato un correttivo in sede di conversione: il Decreto Dignità introduce una acausalità circoscritta al 1° contratto, che potrà, però, essere privo di giustificazione fino ad un massimo di 12 mesi (comprese le sue eventuali proroghe che il Pacchetto Lavoro riduce, complessivamente, da 5 a 4). Riteniamo, questo, un tempo troppo lungo di esonero dall'apposizione di una specifica giustificazione. Vorremmo evitare che, come nel passato, dietro lunghi periodi di contratto a termine possano celarsi lunghi periodi di prova per le lavoratrici ed i lavoratori.

Crediamo, quindi, più corretto, rispetto alla natura di questa tipologia contrattuale, prevedere la causale anche a partire dal 1° contratto.

RIDUZIONE DELLA DURATA COMPLESSIVA DEL CONTRATTO A 24 MESI.

Vengono ridotti da 36 a 24 i mesi complessivamente lavorati con contratto a tempo determinato (comprensivi di proroghe e rinnovi) tra medesimo lavoratore e datore di lavoro. La novità lascia intatta la vigente normativa che prevede su tale durata massima, la possibilità di un'ulteriore contratto in deroga di 12 mesi da stipularsi in ITL (Ispettorato Territoriale del Lavoro) o diverse durate stabilite dalla contrattazione collettiva (anche aziendale).

Mostriamo perplessità per l'entrata in vigore del nuovo tetto di 24 mesi ai rinnovi e proroghe in corso. Ciò significherà per molte lavoratrici e lavoratori interrompere "forzosamente" un rapporto di lavoro in corso di svolgimento per sopravvenuta scadenza della durata legale. Sarebbe, quindi, necessario che proprio per garantire quella "dignità" del lavoro, di cui porta il titola questa Decreto, debba essere introdotta una fase transitoria che salvaguardi tutti quei dipendenti a cui sono in corso proroghe e rinnovi di contratti a tempo determinato.

AUMENTO DELL'ALIQUOTA CONTRIBUTIVA AGGIUNTIVA DELLO 0,5%.

Va nella giusta direzione, l'ulteriore aumento della contribuzione aggiuntiva a carico del solo datore di lavoro, a cui si cumulerà quello introdotto dalla L.92/2012 (1,4%). Il Pacchetto Lavoro, prevede, infatti, un incremento di un ulteriore 0,5% per ogni rinnovo contrattuale a partire dal primo. Poiché crediamo che sul costo aggiuntivo, come si diceva in premessa, si giochi gran parte della partita della riduzione della cattiva flessibilità, riteniamo necessario che venga innalzata ulteriormente questa percentuale, con la previsione di un costo maggiorato anche alle proroghe. Il tutto almeno fin quando non si introdurranno riduzioni strutturali del costo del lavoro a tempo indeterminato. Inoltre, sempre nel senso di restituire "dignità" al lavoro, il costo aggiuntivo della flessibilità dovrebbe essere destinato al lavoratore stesso, in modo da "compensare" l'instabilità ed insicurezza del contratto.

Da una nostra simulazione, considerando una retribuzione lorda annua di € 24 mila, il costo aggiuntivo prodotto dall'aumento dello 0,5% è pari a € 9 mensili ogni rinnovo (con un differenziale di costi rispetto al contratto a tempo indeterminato di poco più di € 100 mensili (comprensivo di addizionale aggiuntivo dell'1,4%, dello 0,5% del Decreto Dignità e dell'Irap). Ma se il 1° contratto a tempo determinato durasse 12 mesi, tale costo aggiuntivo verrebbe meno, nulla cambiando rispetto ad oggi.

I TERMINI DI IMPUGNAZIONE STRAGIUDIZIALE DEL CONTRATTO A TERMINE, SALGONO A 180 GIORNI

Attualmente per l'impugnazione del contratto a tempo determinato, vige un sistema di doppi termini di decadenza: 120 giorni dalla scadenza del contratto per impugnare in via stragiudiziale il contratto e gli ulteriori 180 giorni per adire la via giudiziale.

Si tratta di termini perentori (tassativi), che laddove non rispettati, determinano per il lavoratore l'impossibilità di impugnare il contratto.

Il Pacchetto Lavoro innalza a 180 giorni il primo termine decadenziale per l'impugnativa extragiudiziale.

SOMMINISTRAZIONE A TEMPO DETERMINATO

Negli anni '90, con la liberalizzazione del collocamento, fino a quel momento di monopolio pubblico, viene introdotto il lavoro interinale che nel 2003 prenderà il nuovo nome di  somministrazione.

Le origini e le finalità del contratto a tempo determinato e della somministrazione, sono profondamente diverse e come tali, richiedono una diversa attenzione nella regolamentazione.

Il Decreto Dignità sembra invece concepire i due istituti contrattuali come uguali, tentando una "omogeneizzazione" della somministrazione a tempo determinato con il contratto a termine in forma diretta.

Tale equiparazione è visibile nelle novità che introduce:

Tetto massimo di durata di 24 mesi

1°contratto in somministrazione "ACAUSALE" fino a 12 mesi (comprensivo di eventuali proroghe)

Introduzione delle medesime CAUSALI del contratto a tempo determinato a partire dal 1° rinnovo

Massimo 4 proroghe

Maggiorazione contributiva dello 0,5% a partire dal 1° rinnovo

Possibilità di un ulteriore contratto in deroga di durata massima di 12 mesi, oltre il tetto complessivo di 24 mesi, da stipularsi presso l'Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL).

Stop & Go (applicazione dello stacco di 10 o 20 giorni tra contratto e rinnovo)

Resta fermo che non sono previsti tetti di contingentamento ad assunzioni di somministrati (diversamente dal tetto del 20% stabilito in caso di contratto a tempo determinato diretto), salvo eventuali limiti percentuali previsti dalla contrattazione collettiva, anche aziendale, applicata dall'utilizzatore.

LE "TUTELE CRESCENTI" E L'INNALZAMENTO DELL'INDENNITA' ECONOMICA PER LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO

Il Decreto Dignità apporta una modifica al regime sanzionatorio delle tutele crescenti di cui al d.lgs 23/2015 (attuativo del Jobs Act). In caso di illegittimo licenziamento per motivo oggettivo ed in caso di illegittimo licenziamento disciplinare (quindi sia per giusta causa che giustificato motivo soggettivo), di lavoratrici e lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, la vigente indennità economica (pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a 4 mensilità in caso di licenziamento illegittimo nel corso del primo anno di contratto e non superiore a 24 mensilità), viene innalzata a 6 mensilità in caso di licenziamento illegittimo nel corso del primo anno di servizio, fino ad un massimo di 36 mensilità", fermo restando che l'indennità cresce di 2 mensilità per ogni anno di servizio. Ricordiamo che tali somme di denaro sono a titolo risarcitorio e come tali sono esenti da imposizione contributiva.

Tale novità non può che trovarci favorevoli, poiché è volta a rendere un po' più di giustizia a tutte quelle lavoratrici e lavoratori che sono oggetto di licenziamenti ingiusti. Certamente l'indennità non ristorerà mai la perdita di un posto di lavoro e lo stato di diseguaglianza rispetto ad altri colleghi che, a fronte dello stesso tipo di licenziamento, vedranno la reintegrazione nel posto di lavoro. E' quindi chiaro che intravediamo in questa novità un passo in avanti nella tutela della dignità dei lavoratori, ma non la giusta tutela.

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