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Scoraggiante e fortemente preoccupante la situazione del nostro Paese fotografata pochi giorni fa dal Rapporto Annuale Istat 2022 ed oggi dal XXI Rapporto Annuale Inps.

La pandemia ci consegna un Paese che è più "povero" di ieri, dove la povertà lavorativa è maggiore rispetto al resto d'Europa.
Il lavoro, elemento indispensabile per la crescita di un Paese, è sempre più povero e di scarsa qualità. Assistiamo ad una crescita incessante di occupazione a termine e di part time, prevalentemente involontari, in cui l'occupazione femminile ha il primato negativo europeo con una percentuale del 46% e dove il gap occupazionale, retributivo e di carriera rispetto agli uomini, presenta una forbice ampia.
Tutti elementi questi a cui si abbinano basse retribuzioni oggi e basse pensioni domani, ed un acuirsi delle diseguaglianze sociali.


Continuiamo da decenni a parlare di favorire un'occupazione di qualità per i giovani e le donne, ma sembra che per loro il tempo di una seria inclusione di qualità nel mercato del lavoro non ci sia mai. Sono stati i più colpiti dagli effetti occupazionali della pandemia a causa di lavori discontinui, vulnerabili, temporanei e spesso senza ammortizzatori sociali di sostegno.
E anche se il 2022 sembra vedere un recupero dell'occupazione, sapere che ciò è dovuto principalmente all'occupazione a tempo determinato è un segnale molto negativo.
Non è accettabile che le risorse di Next Generation, producano solo lavoro povero e precario.
Non è questo l'investimento che l'Europa ci ha chiesto.


Non è questa la finalità delle tante risorse che ci vengono messe a disposizione dalla Comunità Europea. Le risorse vanno orientate in primis in un investimento nelle persone, per un lavoro di qualità, che veda protagonisti soprattutto giovani, donne e chi vive nel mezzogiorno.
Il Patto che va fatto è proprio quello di contrastare le forme di lavoro precarie a favore del lavoro a tempo indeterminato e a tempo pieno. Solo così rispetteremo uno dei fondamentali obiettivi che ci ha consegnato l'Europa.


www.uil.it 
Roma, 11 luglio 2022

Venerdì, 27 Agosto 2021 09:59

Veronese sulla questione donna e lavoro  

Questi lunghissimi mesi di emergenza sanitaria, hanno maggiormente evidenziato le tante debolezze e criticità del nostro mercato del lavoro. Sicuramente la riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive su cui Governo e Parti Sociali hanno iniziato un percorso di “efficientamento ed allargamento”, costituiscono una priorità, a cui si affianca anche la questione donna e lavoro che in quadro complessivo di crescita non deve essere sottovalutata.

Tra forte utilizzo al femminile del part-time di cui ben si conoscono le motivazioni che vanno dalla maggiore quantità di lavoro familiare a carico della donna, alla carenza di infrastrutture materiali per i minori (nidi e materne), nel 2019, stando ai dati Inps, il part time ha interessato il 62% del totale dell’occupazione a tempo parziale. A ciò si collega direttamente anche lo strutturale, purtroppo, gap retributivo di genere che dall’analisi degli ultimi dati Inps 2020, vede le dipendenti donne con oltre 500 euro medi mensili in meno rispetto ai colleghi uomini. Situazione economica che peggiora notevolmente, soprattutto quando si tratta di donne single, se si calcola che nel 2020, la perdita retributiva media mensile di un part-time è stata di 100 euro rispetto al 2019.

Tutti hanno perso qualcosa in questo difficilissimo periodo, ma c’è chi continua a perdere più di altri già da prima. Ricordiamo che dai dati INPS risultano 195.000 donne in meno occupate nel 2020. Noi come UIL chiediamo alla Politica di porre sempre un occhio attento alla questione di genere, e poi di agire, non attraverso interventi a spot, ma con politiche strutturali volte alla maggiore inclusione, tutela e riconoscimento del valore del lavoro delle donne.

(dal sito uil.it) 

Come sempre ogni inizio d'anno si caratterizza per una serie di verifiche sul precedente.
Un appuntamento da non mancare è la lettura del Rapporto BES 2019, prodotto puntualmente dall'ISTAT a dicembre 2019, e che potrete agevolmente scaricare integralmente qui: https://www.istat.it/it/archivio/236714.


Come penso condividerete, una puntuale informazione è propedeutica per impostare più efficacemente iniziative ed azioni. Per questo la lettura di ognuno dei 12 indicatori del rapporto può essere assai stimolante, se letto in ottica di genere.
Sollecito in particolare di scorrere il capitolo 03, inerente lavoro e conciliazione dei tempi di vita (si apre cliccando qua https://www.istat.it/it/files//2019/12/3.pdf ), per capire cosa succede nel nostro Paese e come stiamo andando in confronto agli Paesi dell'Europa.
Già da qui purtroppo diventa evidente che aumenta la distanza tra l'Italia e l'Europa sia a causa della bassa occupazione femminile che a causa della minore ripresa dell'occupazione maschile, in Italia cresciuta meno.
Se migliora il tasso di crescita dell'occupazione, specialmente giovanile, aumenta il part time involontario soprattutto tra le donne; inoltre, i valori relativi all'occupazione restano comunque lontani dai livelli pre-crisi.
Continua la sotto-occupazione (rispetto alle competenze possedute) per chi ha un titolo di studio superiore a quello più richiesto per svolgere quella professione; tuttavia si conferma che il titolo di studio più alto protegge maggiormente, in quanto il mercato occupazionale privilegia gli occupati con alti livelli di istruzione.
Le donne con figli piccoli continuano ad essere svantaggiate in quanto, come si dice testualmente "la qualità dell'occupazione si misura anche attraverso la possibilità che le donne, e in particolare quelle con figli piccoli, hanno di conciliare il lavoro con le attività di cura".
L'Italia non è omogenea, emergono importanti differenze tra Nord e Sud; un dato su cui bisogna riflettere è che il Nord ha performance mediamente più alte, ma è anche il luogo di attrazione per professionalità provenienti da un Sud in cui si investe maggiormente sull'istruzione, in assenza di occupabilità. Il trend – crescente - di trasferimento dei "cervelli in fuga" in nazioni differenti dall'Italia, però, rischia di mettere in crisi anche il Nord nel prossimo futuro [v. cap. 11 qua https://www.istat.it/it/files//2019/12/11.pdf ): "L'Emilia Romagna è la prima regione per accoglienza di giovani laureati provenienti da altri paesi o regioni (+16,2 per mille), mentre la Calabria detiene il primato per la fuoriuscita netta di laureati tra i 25 e i 39 anni (-31,1 per mille)].
Importante verificare il trend che vede le donne in crescita nei settori dell'innovazione: superano percentualmente gli uomini nelle professioni scientifiche e tecnologiche con
formazione universitaria. E con ciò si sfata un altro pregiudizio, che le donne non siano "portate" per le attività diverse da quelle con connotazione assistenziale!
Il livello di istruzione continua a mostrare la sua importanza. Come è ben chiarito nel capitolo 02 ( https://www.istat.it/it/files//2019/12/2.pdf ) un alto livello di istruzione garantisce alti livelli di partecipazione e competenze. "lI livello di istruzione, insieme alla condizione occupazionale ed economica, è direttamente legato alla possibilità di rimanere attivi e di essere inseriti pienamente nella vita culturale e sociale di una comunità. Tra coloro che hanno conseguito un titolo di studio elevato, infatti, si rileva una percentuale doppia rispetto alla media italiana di partecipazione alla formazione continua a tutte le età. Questo accade sia per gli uomini sia per le donne."
Il concetto è ripreso nel capitolo 04 relativo al benessere economico (https://www.istat.it/it/files//2019/12/4.pdf ) in cui si legge che "Livelli elevati di Istruzione riducono il rischio povertà": un livello di istruzione più elevato costituisce infatti un elemento di protezione rispetto alla povertà, al disagio o alla deprivazione. Tutti gli indicatori di povertà e deprivazione sono peggiori per le persone con titolo di studio più basso.
Permane e in alcuni casi si amplia lo svantaggio del Mezzogiorno, in cui notoriamente le donne hanno il più basso tasso di occupazione.
Insomma, un Rapporto tutto da leggere, che dà anche speranze per un futuro migliore grazie alle generazioni più giovani, a cui sta molto più a cuore in nostro Paese. Il paragrafo 10 sull'ambiente (https://www.istat.it/it/files//2019/12/10.pdf ) termina infatti così: "La preoccupazione per la biodiversità appare significativamente legata al titolo di studio (le percentuali sono più elevate fra le persone con livello di istruzione medio-alto) e alla ripartizione di residenza (i valori decrescono da Nord a Sud), ma soprattutto all'età degli intervistati (si dichiarano preoccupati per la perdita di biodiversità il 26,5% delle persone da 14 a 34 anni, contro il 16,7% delle persone di 55 anni e più). In sintesi, un atteggiamento più consapevole verso il tema della protezione della natura appare, comprensibilmente, più diffuso tra i più giovani e tra le persone più istruite, anche se proprio in questi gruppi si registrano, nell'ultimo anno, segnali di un calo di attenzione."

Coordinamento Pari Opportunità
Sonia Ostrica

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Dopo il calo del mese scorso a gennaio 2018 la stima degli occupati torna a crescere (+0,1%, pari a +25 mila rispetto a dicembre). Il tasso di occupazione sale al 58,1% (+0,1 punti percentuali).

L'aumento dell'occupazione nell'ultimo mese è determinato dalla componente femminile e, con riferimento all'età, dalla forte crescita dei giovani di 15-24 anni e da quella più lieve degli ultracinquantenni, a fronte di un calo tra gli uomini e nelle classi di età centrali tra 25 e 49 anni. Crescono in misura consistente i dipendenti a tempo determinato, mentre calano i permanenti e gli indipendenti.

Nel trimestre novembre-gennaio l'occupazione rimane sostanzialmente stabile rispetto al trimestre precedente. Segnali positivi si registrano tra le donne (+0,1%), gli over 50 (+1,0%) e soprattutto i giovani di 15-24 anni (+2,4%), a fronte di un calo tra gli uomini e nelle classi comprese tra 25 e 49 anni. Crescono nel trimestre i dipendenti a termine (+2,4%), mentre calano i permanenti (-0,3%) e gli indipendenti (-0,5%).

La stima delle persone in cerca di occupazione torna a crescere a gennaio (+2,3%, +64 mila) dopo cinque mesi consecutivi di calo. L'aumento della disoccupazione interessa donne e uomini e si distribuisce tra tutte le classi di età. Il tasso di disoccupazione sale all'11,1% (+0,2 punti percentuali rispetto a dicembre), mentre quello giovanile scende al 31,5% (-1,2 punti).

Dopo l'aumento del mese scorso, a gennaio la stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni cala dello 0,6% (-83 mila). La diminuzione interessa prevalentemente le donne e i giovani 15-24enni. Il tasso di inattività scende al 34,5% (-0,2 punti percentuali).

Nel trimestre novembre-gennaio, rispetto ai tre mesi precedenti, alla sostanziale stabilità degli occupati si accompagna il calo dei disoccupati (-1,1%, -33 mila) e l'aumento degli inattivi (+0,1%, +14 mila).

Su base annua si conferma l'aumento degli occupati (+0,7%, +156 mila) determinato esclusivamente dalle donne. La crescita si concentra solo tra i lavoratori a termine (+409 mila) mentre calano gli indipendenti (-191 mila) e i permanenti (-62 mila). Aumentano soprattutto gli occupati ultracinquantenni (+335 mila) ma anche i 15-24enni (+106 mila), mentre calano i 25-49enni (-285 mila). Nello stesso periodo diminuiscono sia i disoccupati (-4,9%, -147 mila) sia gli inattivi (-0,6%, -75 mila).

Al netto dell'effetto della componente demografica, l'incidenza degli occupati sulla popolazione cresce su base annua tra i 15-34enni e i 50-64enni, mentre è in calo tra i 35-49enni.

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Da pochi giorni è stata pubblicata la Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri (anno 2016) dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro.

I dati fotografano una situazione del nostro Paese che lo colloca ancora come fanalino di coda dell'Europa rispetto all'occupazione femminile (seppure in crescita, in valori assoluti, nell'ultima rilevazione ISTAT di agosto) : una media del 48,9% in Italia contro una media europea del 62,5%. Però anche le madri che hanno un lavoro, si dimettono subito dopo o in concomitanza con la nascita di un figlio: infatti nel 2016 il 78% delle richieste di dimissioni registrate dall'Ispettorato del Lavoro ha riguardato proprio le lavoratrici madri, e di queste il 40% ha dato come motivazione proprio la difficoltà di conciliare il lavoro con le esigenze di cura dei figli, 44% in più rispetto al dato del 2015.

Nello specifico, rispetto alla più generale difficoltà di conciliazione vita - lavoro vi sono queste motivazioni: assenza di parenti di supporto, n. 6699 complessivo di dimissioni (n.6533 riferito alle lavoratrici madri, n.166 lavoratori padri); mancato accoglimento al nido, n. 5793 complessivo dimissioni (n. 5655 lavoratrici madri e n. 138 lavoratori padri); elevata incidenza dei costi di assistenza per i servizi per la prima infanzia, n.1362 complessivo dimissioni (n. 1333 lavoratrici madri e n. 29 lavoratori padri).I dati dell'ispettorato del Lavoro confermano ancora una volta quello che noi chiediamo al Governo da più tempo: sono necessarie politiche a sostegno della famiglia più sostanziali e strutturali;

una politica fatta esclusivamente di bonus e interventi spot non produce risultati, anzi aumenta le disparità di genere purtroppo sempre a sfavore delle donne, costrette a dimettersi soprattutto per esigenze di conciliazione vita- lavoro. Sono necessari interventi per i servizi per la prima infanzia, 0-3 a costi accessibili e di qualità, con risorse certe che possano assicurare da un lato, il diritto all'istruzione sin dalla nascita per ogni bambino, come sancito dalla riforma sullo zero sei, e dall'altro come sostegno alla conciliazione vita-lavoro per le lavoratrici madri e per i lavoratori padri.

E, ancora, diventa essenziale un sistema di permessi e congedi più adeguato che consenta al nostro mercato del lavoro di essere accogliente verso lavoratrici e lavoratori con carichi di cura: occorre, quindi, partire proprio dal riconoscimento del congedo di paternità aggiuntivo invece che alternativo, allungando in termini di quantità il periodo di fruizione obbligatorio, anche per favorire un cambiamento culturale e un' equa distribuzione, tra madre e padre, dei carichi di cura legati ai figli.

In allegato la Relazione dell'Ispettorato del Lavoro

LA SEGRETARIA CONFEDERALE

(Silvana Roseto)

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