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Martedì, 29 Settembre 2015 11:11

Nuovo buco nel Jobs Act: per una badante (o colf) su tre non ci sono le tutele della Naspi

DOPO IL CASO LAVORATORI STAGIONALI ECCO IL SECONDO "BUCO" NEL JOBS ACT: PER 1/3 ( oltre 300 MILA PERSONE) DELLE LAVORATRICI E LAVORATORI DOMESTICI NON CI SARANNO LE TUTELE DELLA NASPI

A cura della Uil Servizio Politiche Territoriali

Con la Pubblicazione sulla "Gazzetta Ufficiale" degli ultimi Decreti Legislativi si conclude l'attuazione della Legge Delega del Jobs Act.

Ma all'orizzonte, nonostante i proclami del Governo che afferma di aver esteso le tutele con la nuova NASPI, all'orizzonte si profila il "secondo buco" del Jobs Act.

Infatti per 1/3 (300 mila persone su un totale di 898 mila), dei lavoratori e lavoratrici domestiche che lavorano meno di 24 ore settimanali non vi sarà, in caso di perdita di lavoro, il "paracadute sociale" rappresentato dalla NASPI a differenza di quanto avveniva in passato con l'ASPI.

Infatti l'INPS con la circolare 142 emanata alla fine di luglio  specifica che l'ulteriore requisito per aver diritto alla NASPI (30 giornate lavorate nell'ultimo anno), viene interpretato, per gli addetti del lavoro domestico,  con una attività lavorativa di 5 settimane di almeno 24 ore lavorative. Ergo se lavori 24 ore o di più hai diritto alla NASPI, altrimenti con una attività fino a 23 ore a prescindere dall'anzianità contributiva non hai diritto alla NASPI.

Paradossalmente se una lavoratrice o lavoratore domestico ha lavorato sempre a 20 ore settimanali  e perde il posto di lavoro non ha diritto a nulla.

Questo significa che,  lavoratrice/lavoratore domestico con 33 anni di età con un lavoro di 20 ore settimanali  negli ultimi 3 anni e  con uno stipendio di 680 euro al mese, secondo la UIL Servizio Politiche Territoriali con la "vecchia ASPI" avrebbe preso 483 euro mensili per 10 mesi (4.830 euro), più la copertura previdenziale per aver diritto alla pensione, più eventuali assegni al nucleo familiare.

Ora con la NASPI non ha diritto a nulla!

Oppure, una domestica con 55 anni di età che ha lavorato fino al 2013 per 28 ore settimanali e poi nel 2014 e 2015 ha ridotto il proprio orario a 20 ore con l'ASPI avrebbe percepito 457 euro mensili per 12 mesi (5.490 euro), più contribuzione previdenziale e assegni familiari, mentre con la nuova NASPI non percepisce nulla di tutto ciò.

Ma ancora più paradossale: prendiamo 2 lavoratrici a 20 ore settimanali, la prima nel commercio, la seconda nel lavoro domestico: la prima, in caso di perdita di posto di lavoro dopo 2 anni, percepirebbe  400 euro al mese per 12 mesi (4.800 euro), mentre l'altra che lavora a domicilio non percepisce nulla.

Un errore o una inutile cattiveria?

Si domanda Guglielmo Loy-Segretario Confederale UIL.

Questa la domanda che ci facciamo di fronte a questa penalizzante interpretazione che fa  l'INPS (immaginiamo con l'ok del Governo) sul diritto, o meno, per circa 300.000 lavoratrici (e lavoratori) impegnate  nel secondo pilastro del Welfare Italiano: le collaboratrici familiari e le badanti.

Perché negare a chi lavora a part time (come altri 3.2 milioni colleghi di altri settori) una prestazione cosi vitale come l'indennità di disoccupazione?

Come si può contraddire le affermazioni del Governo che hanno sempre enfatizzato l'allargamento a tutti i lavoratori  degli ammortizzatori?  Con questo siamo al secondo buco del Jobs Act: al primo è stata messa un toppetta, a questo? Speriamo in urgente "ravvedimento operoso"

In allegato le tabelle complete del caso.

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